Negli ultimi anni il ruolo della biodiversità è divenuto centrale nelle politiche comunitarie, tanto da rappresentare un pilastro fondamentale nel Green Deal europeo. Lo studio, il monitoraggio e l’impiego di nuove tecnologie costituiscono oggi strumenti in grado di comprendere e rafforzare il ruolo della biodiversità, al fine di migliorare la resilienza naturale degli agroecosistemi.
Con questi obiettivi è nato Reinforce (Generare nuove evidenze e sfruttare nuove tecnologie per rafforzare il ruolo della biodiversità in agricoltura), un progetto di ricerca a «cascata» finanziato nell’ambito Agritech (Centro nazionale per lo sviluppo di nuove tecnologie in agricoltura finanziato dal Pnrr). Un progetto che ha visto il coinvolgimento di 8 partner: Università di Verona, Università del Molise, Università della Calabria, Università di Palermo, Abit, Consorzio Italbiotec, Gruppo Fos e Archetipo.
L’evento conclusivo del progetto dal titolo «Valorizzare la biodiversità in vigneto e oliveto per produzioni più sostenibili», di cui Edizioni L’Informatore Agrario è stato media partner, si è tenuto lo scorso 21 novembre a Ospedaletto di Pescantina (Verona) e ha visto la partecipazione di oltre 120 tra rappresentanti del mondo della ricerca, tecnici e imprenditori agricoli.
Agroecologia e biodiversità funzionale
Partendo dalla descrizione del progetto (Nicola Mori, Università di Verona) e dalle sfide e dalle opportunità offerte dall’agroecologia (Lorenzo Marini, Università di Padova), durante l’evento sono stati presentati alcuni dei risultati ottenuti nell’ambito di Reinforce.
Sicuramente un concetto chiave è rappresentato dalla biodiversità funzionale, intesa come insieme delle funzioni ecologiche svolte dagli organismi presenti in un ecosistema (insetti utili, flora spontanea, microrganismi del suolo), e del positivo ruolo nelle colture permanenti.
In oliveto e nel vigneto, ha sottolineato Matteo Dainese dell’Università di Verona, la biodiversità funzionale deve essere vista come un investimento e non come un costo, in quanto in grado di migliorare la stabilità produttività di lungo periodo, aumentare la resilienza climatica e ridurre al contempo la dipendenza da input esterni. Esistono oggi pratiche agroecologiche complementari in grado di migliorare la biodiversità fuzionale a livello di suolo (adozione di coperture erbacee, compost, sovesci), di campo o filare (gestione diversificata degli interfilari), di azienda (introduzione di siepi, bordure, biologico e agroforestazione) e di paesaggio.
Come monitorare la biodiversità del suolo
Nell’ambito del progetto Reinforce sono state studiate la microflora e la fauna presenti nel suolo, cercando di ottimizzare l’impiego delle nuove tecnologie per il relatico monitoraggio.
Il ruolo della fauna edafica, ha illustrato Matteo Zinni di Abit, va dalla frammentazione della lettiera alla biotriturazione, alla riduzione del rapporto C/N, alla dispersione di spore e propaguli, fino alla chiusura dei cicli biogeochimici dei nutrienti. Grazie all’adozione dell’indice QBS-ar (Qualità biologica dei suoli basata sui micro-artropodi) è possibile monitorare la presenza di artropodi nel suolo (biodiversità) testando al contempo l’efficacia di diverse scelte operative (ad esempio confronto tra gestione biologica e integrata) sia nel tempo che nello spazio.
Guardando invece al microbioma del suolo, ha illustrato Elodie Vandelle dell’Università di Verona, le funzioni sono dirette sia a migliorare l’assorbimento di nutrienti e la crescita vegetale, sia proteggere le colture da patogeni e da stress abiotici. Le condizioni ambientali possono alterare l’efficacia dei microrganismi benefici per cui anche in questo caso diventa fondamentale il monitoraggio sia delle specie presenti (attraverso il DNA metabarcoding) sia delle funzioni associate.
Nell’ambito di Reinforce, ha sottolineato Patrizia Bella dell’Università di Palermo, in particolare è stata monitorata come varia la biodiversità delle comunità microbiche associate alla rizosfera di vite e olivo in aziende del Veneto e della Sicilia condotte in biologico e in integrato.
Ma il progetto Reinforce si è occupato anche di testare nuovi approcci su larga scala per il monitoraggio delle risorse e della qualità ambientali, come ad esempio l’impiego delle immagini satellitari e dei droni per il telerilevamento (Antonio Persichetti, Archetipo) o l’utilizzo di sistemi di supporto alle decisioni per la gestione sostenibile degli agroecosistemi (Andrea Sciarretta, Università del Molise e Diletta Zangheri, Consorzio Italbiotec).
Un’analisi sociale
Al termine dell’evento è intervenuta Costanza Geppert dell’Università di Padova, che ha evidenziato come la domanda di servizi ecosistemici vari fortemente in funzione dei gruppi locali presenti nel territorio (conservazionisti, agricoltori, proprietari di strutture turistiche, secisori politici, residenti, ricercatori scientifici e viticoltori) e come l’adozione di alcune pratiche agroecologiche sia prioritaria.



