L’Italia tiene nell’export ma il prezzo del vino cala

Tutto il mondo è paese. E ancor di più lo è diventato durante la pandemia da Covid-19, quando tutti i Governi hanno deciso, per arginare il contagio, di attivare il lockdown. Questo protocollo di emergenza, calato sul mondo del vino, ha determinato in quasi tutti i Paesi del mondo uno spostamento «forzato» dei consumi dal canale on-trade (bloccato) a quello off-trade (in particolare gdo ed e-commerce). Di conseguenza, anche le importazioni dei vini destinati a essere venduti presso la ristorazione hanno sofferto di questa chiusura, con riduzioni più o meno sensibili a seconda del relativo posizionamento detenuto dai vari Paesi produttori su questo canale.

Per capire meglio tali effetti, si consideri quanto avvenuto nelle importazioni di vino nei principali mercati mondiali a tutto il primo quadrimestre 2020.
Occorre innanzitutto premettere come il valore collegato all’intero periodo sconti un bimestre gennaio-febbraio scevro dagli effetti del lockdown e in certi casi (come quello statunitense) addirittura con performance superiori alla media a causa di eventi straordinari come la minaccia di dazi aggiuntivi sui vini europei da parte dell’Amministrazione americana che hanno indotto gli importatori a fare scorte precauzionali, in particolare di Champagne e vini fermi italiani.
Per questo si spiega un import di vino che negli USA e per il primo quadrimestre è risultato in crescita di quasi il 2% a valori rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, a fronte invece di cali del 13% nel Regno Unito, del 9% in Germania, del 17% in Svizzera e di ben il 27% in Cina. Se invece limitiamo l’analisi al solo mese di aprile, tutto sembra tornare, purtroppo.

 

Import di vino italiano nei principali mercati

Gli spumanti italiani, al contrario di quanto successo per gli Champagne, hanno visto crescere le importazioni negli Stati Uniti nei mesi di marzo e aprile, tanto da inanellare un aumento nel primo quadrimestre di oltre il 10% rispetto allo stesso lasso di tempo del 2019.

Purtroppo, quanto messo a segno con gli spumanti non si è replicato sul fronte dei vini fermi per i quali invece è accaduto più o meno la stessa cosa capitata agli Champagne. Dato che l’Italia era stata risparmiata (unica tra i top produttori UE) dal primo «giro di giostra» dei dazi avvenuto a ottobre dello scorso anno, gli importatori hanno giustamente pensato di mettere in magazzino qualche bottiglia in più del solito a inizio anno e, di conseguenza, gli acquisti nel bimestre marzo-aprile sono diminuiti sensibilmente (–26% a valori rispetto al bimestre gennaio-febbraio 2020) (il grafico 2 riporta il totale dei vini).

In linea generale, va comunque detto che l’Italia, pur non riuscendo – come tutti del resto – a evitare una diminuzione degli acquisti dei propri vini, ha mantenuto le proprie posizioni e, in certi casi, ha aumentato le quote di mercato ai danni in particolare dei francesi che da questa pandemia hanno subìto gli strali più acuminati.
Il vino italiano ha infatti incrementato – sempre nel primo quadrimestre di quest’anno rispetto al 2019 – la propria quota sul mercato statunitense (passando dal 31% al 34%), su quello tedesco (dal 37% al 40%), svizzero (dal 33% al 38%) e canadese (dal 21% al 22%).

Le importazioni di vino italiano hanno sofferto il lockdown, in particolare per quanto riguarda gli acquisti nel mese di aprile. Al di là della Cina, dove la nostra quota è ancora marginale, gli impatti più rilevanti sono stati negli USA (–7,5%), Germania (–12,8%) e Svizzera (–23,1%). In controtendenza invece il Canada (+20,1%).

Considerando le importazioni nei 15 principali mercati di destinazione dei nostri vini (per un’incidenza cumulata vicino all’80% del nostro export 2019), il primo quadrimestre di quest’anno ha evidenziato una sostanziale tenuta (+0,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), pur contemplando un significativo calo nel mese di aprile. Confrontando tale risultato con le esportazioni dei nostri principali concorrenti (in questo caso relativi a tutti i mercati di destinazione, grazie alla disponibilità di dati più aggiornati) si evince come la Francia abbia lasciato sul campo un 18% di export rispetto all’anno scorso, l’Australia un 12%, la Germania un 10%, il Cile e la Spagna un 7%. Unica eccezione la Nuova Zelanda che, a differenza di tutti, è riuscita a compiere un balzo in avanti del 6% (grafico 3).

A fronte di questi numeri, non stupisce quindi la richiesta avanzata dalla filiera vinicola francese (accolta dal relativo Governo) di destinare ben 155 milioni di euro alla distillazione di crisi, molto più dei 50 milioni di euro destinati a misure analoghe da Italia e Spagna.
Si tratta ora di capire come reagiranno gli importatori alla riapertura dell’Horeca e alla fine dei lockdown previsti nei diversi mercati esteri.

Al di là della voglia di un «revenge spending» che ci auguriamo possa diffondersi velocemente tra i consumatori di vino, le avvisaglie di una tanto temuta tensione sui prezzi si sono già riscontrate, a testimonianza del fatto che in alcuni mercati dove il canale off-trade è predominante, i buyer della gdo stanno facendo pressione sui produttori anche alla luce dei primi segnali di recessione che si stanno delineando e che giocoforza andranno a incidere pure sugli acquisti di vino.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 4/2020
L’Italia tiene nell’export ma il prezzo del vino cala
di D. Pantini
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