Come ottimizzare l’acidità dei vini

Il drastico aumento del tenore zuccherino medio delle uve e la diminuzione dell’acidità dei mosti non sono fenomeni giustificabili solo in base ai fattori climatici, ma sono in buona parte legati anche a cambiamenti della cultura viticola e delle pratiche agricole. Il concetto di maturazione fisiologica, distacco e maturità dei vinaccioli, è divenuto predominante rispetto ai tradizionali parametri industriali basati sul rapporto fra la concentrazione degli zuccheri e l’acidità dei mosti.

Vini meno acidi

Una carenza di acidità non causa solo un’alterazione della percezione organolettica, con la comparsa di note secche e amare, ma rende anche i vini microbiologicamente e chimicamente meno serbevoli. I bassi pH esercitano una selezione naturale sui batteri che possono svilupparsi nel vino e rendono più efficace l’effetto antisettico dell’anidride, garantendo maggiori percentuali di solforosa molecolare. Invece a pH superiori a 3,4 anche i nobili Oenococcus oeni avviano la fermentazione eterolattica con parziale produzione di acido acetico. La poca acidità di un vino limita inoltre le capacità antiossidanti dei tannini, estratti dalle uve nel corso della macerazione.

Correzione dell’acidità con tecnologie soffici

La legge europea ammette i trattamenti con resine a scambio cationico, dal 2012, ed elettrodialisi, dal 2010, per correggere l’acidità dei mosti e dei vini di una quantità massima di 54 milliequivalenti complessivi, pari a quella consentita per l’impiego additivo diretto degli acidi. Queste due tecniche erano state autorizzate in un primo momento solo per ottenere la stabilità tartarica, perciò limitate all’impiego sui vini.

L’elettrodialisi è una tecnologia piuttosto complessa che richiede attrezzature ammortizzabili solo con grossi volumi di vino trattato e necessita di personale specializzato. Per questi motivi il suo impiego è limitato a imbottigliatori importanti o ad aziende che lavorano per conto terzi, anche in stazioni mobili.

Il trattamento con resine cationiche è più facilmente disponibile e sfrutta una tecnologia consolidata da decenni nel trattamento delle acque. Il suo principio di funzionamento si basa sulla capacità di una resina plastica di scambiare cationi in funzione della composizione del liquido con cui viene trattata. In un primo momento la resina, che ha solitamente l’aspetto di sferette di pochi millimetri di diametro, viene caricata con ioni acidi, H+, tramite trattamento con un acido forte, solitamente acido solforico. Successivamente il vino viene fatto passare sulla resina, che cattura il potassio e rilascia gli ioni acidi. Quando la resina perde la sua efficienza di scambio viene lavata e riattivata nuovamente con l’acido solforico. L’effetto sul vino è un’acidificazione immediata e una sottrazione del potassio, senza aggiunta di additivi esterni che, per quanto purificati, apportano sempre una quantità di molecole secondarie.

Gli impianti di trattamento cationico di maggiori dimensioni sono costituiti da due colonne separate. Quando in una colonna viene trattato il vino a cui togliere il potassio nell’altra si effettua la rigenerazione acida delle resine.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 6/2021
Resine, la via tecnologica per ottimizzare l’acidità
di Mauro De Paola
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