Più marketing ed export per rilanciare il melo

La coltivazione del melo a livello mondiale interessa circa 4,9 milioni di ettari (al 2018), il 40% dei quali nella sola Cina, che ha tuttavia ridotto di 200.000 ettari le superfici coltivate nell’ultimo quinquennio. Dietro la Cina, sono Stati Uniti, Polonia e Turchia i principali produttori mondiali, con volumi di crescita piuttosto sostenuti soprattutto in Turchia.
Nell’attuale configurazione dell’Unione europea a 27 membri sono coltivati poco più di 500.000 ettari, con una blanda tendenza flettente, di circa 15.000 ettari dal 2015 ad oggi.

Gli scambi commerciali

Come per molte altre referenze frutticole, i consumi di mele evidenziano da tempo una situazione di perdurante stagnazione a livello europeo, tanto da aver fatto registrare, nelle ultime campagne, una certa difficoltà di assorbimento del prodotto anche in presenza di volumi di offerta non particolarmente sostenuti.

Le mele sono frutti capaci di sostenere lunghi periodi di conservazione e, per questo, possono guardare con deciso interesse anche a mercati lontani. Purtroppo, anche per le destinazioni extra-europee si rilevano problematiche, come il noto embargo della Russia, le tensioni in medio-oriente o le difficoltà nella stipula di accordi bilaterali per l’apertura di nuove destinazioni, soprattutto in estremo oriente.
Tali situazioni rendono oltremodo difficoltosi gli sforzi commerciali e infatti, la dinamica dei volumi esportati dai Paesi Ue mostra chiari segnali di stanchezza, che si sono concretizzati in un calo progressivo dei flussi dal 2015 al 2018, cui ha fatto seguito una parziale ripresa nel 2019.

Lo stato di difficoltà in cui si trovano le varietà più tradizionali è evidente: progressivamente meno richieste dal mercato e, dunque, meno performanti in termini di prezzi riconosciuti. Particolarmente a rischio appare la sostenibilità per Golden Delicious che, come confermato dai dati statistici, è in fase calante sia in pianura, dove la situazione è al limite della sostenibilità, ma anche nelle aree montane. Meglio si difende Granny Smith che può contare su mercati specifici all’estero e, in ogni caso, presenta costi di produzione inferiori.

Per le cultivar più moderne, la situazione appare invece migliore, anche se non per merito di remunerazioni particolarmente brillanti, ma grazie alle rese produttive elevate, che altre specie da frutto non riescono a raggiungere, garantendo al contempo buoni livelli qualitativi.

Le varietà gestite da club offrono quotazioni di indubbio interesse, decisamente superiori alla media, analogamente ad altre referenze frutticole, ma anche per le mele occorre valutare la capacità di raggiungere i livelli qualitativi richiesti dai disciplinari per non incorrere nel declassamento del prodotto.
Alla luce di ciò, non si può che auspicare di proseguire nel percorso già in atto di rinnovamento degli impianti, sia nelle varietà coltivate, sia nelle forme e modalità di gestione, al fine di massimizzare la resa produttiva.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 38/2020
Più marketing ed export per rilanciare il melo
di A. Palmieri
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