Il mandorlo ha bisogno di innovazione varietale

Nell’ultimo decennio, a fronte di una progressiva contrazione della superficie censita a mandorlo, la resa a ettaro di mandorle in guscio si mantiene costante, quale conseguenza del graduale abbandono dei vecchi impianti poco produttivi e dunque economicamente insostenibili a favore di mandorleti specializzati, gestiti secondo le tecniche colturali della frutticoltura moderna.

Tuttavia, i progressi acquisiti nelle modalità impiantistiche e nella tecnica colturale non sono stati adeguatamente affiancati dal miglioramento del panorama varietale italiano, che negli ultimi 50 anni ha fatto registrare la sola introduzione di varietà estere principalmente dalla Spagna, che tra l’altro detiene l’attuale primato produttivo nell’area mediterranea.

Panorama varietale

Le principali cultivar italiane, di origine pugliese o siciliana e ancora oggi impiegate nelle aree storiche di coltivazione, sono le autosterili Fascionello e Pizzuta d’Avola, le autofertili Falsa Barese, Filippo Ceo, Genco e Tuono. Questa ultima in particolare, molto diffusa in Puglia, è coltivata anche nei nuovi impianti di recente costituzione, in quanto, a fronte di una certa incidenza del difetto “semi doppi”, è caratterizzata da fioritura medio-tardiva, maturazione medio-precoce, elevata produttività.

Tuttavia, le nuove proposte colturali che vertono sull’intensificazione degli impianti per aumentare la meccanizzazione e le rese ad ettaro orientano il mandorlicoltore a impiegare anche cultivar spagnole e francesi, alcune delle quali di recente costituzione.

Piante alla quarta foglia in campo sottoposte a potatura meccanica, in piena fioritura presso l’Azienda agricola Piani della Marina a Tarquinia (Viterbo).

Nuove tipologie di impianto

 La futura sostenibilità economica della mandorlicoltura italiana dipende anche dalla introduzione di tecniche colturali innovative e soluzioni impiantistiche mirate al progressivo incremento delle densità di piantagione, tramite costituzione di impianti a densità variabile da 400-600 piante ha per le tipologie intensive, fino a 1.800-2.000 piante/ha in impianti superintensivi. In entrambi i casi è altamente raccomandata, se non addirittura indispensabile, la realizzazione di un impianto di irrigazione per soddisfare il fabbisogno idrico della coltura.

Mandorleto superintensivo di Guara su portinnesto
Rootpac® 20, con sesto d’impianto 3,8 x 1,5 m (1.700 piante/ha). Realizzato nel 2018 ad Andria (Barletta-Andria-Trani)

L’innovazione più incisiva registrata negli ultimi decenni in mandorlicoltura è rappresentata dalla meccanizzazione delle operazioni colturali. Per favorire la meccanizzazione in impianti intensivi allevati a vaso, si consigliano distanze minime sulla fila 3,5-5 m e tra le file di 5-6 m. Tali sesti di impianto consentono infatti una agevole movimentazione nel frutteto delle macchine per la raccolta che in questa tipologia impiantistica avviene principalmente con impiego di scuotitore a ombrello riverso o con reti a terra.

Gli impianti superintensivi al contrario sono progettati opportunamente con distanze minime sulla fila che di norma sono contenute in 1,2-1,5 m e distanze tra le file di 3,5-4,5 m al fine di favorire una struttura a “siepe” del mandorleto con relativa applicazione della raccolta in continuo con macchina scavallatrice.

Scavallatrice per la raccolta in continuo dei mandorleti superintensivi.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 13/2021
Il mandorlo ha bisogno di innovazione varietale
di A.L. Pica, C. Silvestri, F. Vignolini, R. Mariotti, S. Bizzarri, E. Pierini, M. Belli, V. Cristofori
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