Al pero servono più resa e calibri maggiori

Il pero è coltivato nel mondo su quasi 1,4 milioni di ettari, per una corrispondente produzione attorno a 24 milioni di tonnellate. Circa il 70% di superfici e produzioni si concentrano in Cina, dove tuttavia prevalgono nettamente le pere di tipo Asiatico, sebbene vi sia un crescente interesse anche per le cultivar occidentali. A differenza della maggior parte delle referenze frutticole, il pero segna una tendenziale diminuzione degli investimenti, più marcata in Cina, ma rilevabile pure nel resto del mondo.

Anche nell’Unione europea l’interesse per questa specie appare nel complesso in fase flettente: nel 2019 sono stati coltivati 114.000 ettari, dato che evidenzia una perdita di circa 15.000 ettari in un decennio e 3.000 negli ultimi 5 anni. In particolare, sono soprattutto Italia e Spagna, primi due produttori europei, a denotare sensibili riduzioni nella consistenza degli impianti, con perdite attorno a 6.000 ettari ciascuno negli ultimi 10 anni.
Gli altri principali player europei, Portogallo, Belgio e Paesi Bassi, al contrario, mostrano addirittura un incremento degli investimenti nel medesimo periodo, pari a poco meno di 2.000 ettari ciascuno

A livello varietale, Conference si conferma la cultivar di riferimento europea, con un’offerta stimata di oltre 900.000 tonnellate, pari al 42% del totale. Segue quindi Abate Fétel, quasi interamente concentrata in Italia, la cui offerta attesa, 287.000 tonnellate, è ovviamente molto superiore a quella registrata nel 2019 e William, anch’essa in crescita, con un volume atteso di 242.000 tonnellate.

La situazione in Italia

Come già rilevato, il trend degli investimenti nel nostro Paese è in progressiva flessione: nonostante un rallentamento del fenomeno, nell’ultimo quinquennio sono stati dismessi, secondo i dati Istat, circa 2.000 ettari, attestando le superfici coltivate a poco più di 30.000 ettari.

Quasi i 2/3 degli impianti si localizzano nella sola Emilia-Romagna, che è, di fatto, la principale responsabile della curva diminutiva. Calano gli impianti anche in Veneto, storicamente il secondo bacino produttivo per importanza, mentre in Sicilia permane una certa stabilità.

La situazione del comparto pero mostra da tempo e sotto diversi punti di vista, chiari segnali di difficoltà culminati con la disastrosa campagna 2019. A volumi produttivi eccezionalmente bassi, peraltro, non hanno fatto da contraltare prezzi adeguatamente più elevati. Peraltro, le maggiori quotazioni di Abate Fétel hanno creato problemi nel collocamento sui mercati europei.
Il pero, a differenza di altre specie, come ad esempio il melo, non ha visto significativi miglioramenti delle rese produttive nel corso del tempo ed anzi, le stesse sono oggi messe in discussione da andamenti climatici sempre più imprevedibili e particolarmente avversi alle piante. La risultante di rese produttive basse non può che essere un costo di produzione decisamente alto che i prezzi faticano a compensare. Anche in annate normali, le quotazioni permangono difatti penalizzanti per i calibri medio-piccoli, soprattutto nel caso di Abate Fétel poco apprezzati in Italia e costretti a scontrarsi sui mercati internazionali con la concorrenza del prodotto del Nord Europa, proposto a prezzi molto concorrenziali.

Emerge con chiarezza la necessità di agire su quantità e qualità prodotte: per Abate Fétel occorre aumentare le rese medie ad almeno 30-32 t/ha e limitare a meno del 50% la quota di frutti sotto il calibro 70. L’impresa non è certamente facile e, naturalmente, non può prescindere da un rinnovamento degli impianti che andrebbero ripensati: si studia, ad esempio, il ritorno ai portinnesti franchi e, in generale, un minor apporto di input per limitare i costi. Servirebbero, inoltre, più impianti protetti per far fronte ad un clima sempre più imprevedibile, ma ultimamente il rinnovo è divenuto sempre più carente per le difficoltà economiche della specie.
In questo contesto è evidente come serva una risposta forte della ricerca e delle istituzioni, incrementando i contributi previsti per l’impianto, accelerando il la diffusione di nuove molecole e affrontando il problema della carenza della disponibilità idrica che si sta manifestando con decisione.
In parallelo, non deve venir meno lo spirito innovativo anche a livello commerciale, pensando a nuove modalità di consumo di un frutto che necessita di rinnovamento anche a livello di consumo.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 36/2020
Al pero servono più resa e calibri maggiori
di A. Palmieri
L’articolo completo è disponibile per gli abbonati anche su Rivista Digitale