Brexit, l’agroalimentare si prepara al peggio

bandiera inglese

Con oltre 40 miliardi di euro di esportazioni (e 17 in importazioni) in ballo, il settore agroalimentare dell’Ue torna a fare pressioni sulla Commissione europea sulla necessità di avere dei piani di emergenza nel caso che il divorzio tra Bruxelles e Londra finisca senza accordo.

Un incubo, lo scenario peggiore con cui la Brexit potrebbe chiudersi per le imprese dei due lati della Manica, soprattutto del settore agroalimentare, uno dei più integrati dell’Unione europea.

Da entrambi i lati del Canale c’è consapevolezza che chi si farebbe più male nell’immediato sarebbero i britannici, con il 30% degli approvvigionamenti agroalimentari che viene dall’Ue. Ma l’impatto di un eventuale «no deal» non è da sottovalutare neanche per i Paesi dell’Unione europea: in Italia i più esposti verso il Regno Unito sono soprattutto il settore dei vini, quello dei pelati e salse di pomodoro e dei formaggi.

Ecco perché le associazioni di categoria del settore agroalimentare dell’Ue, Copa-Cogeca per gli agricoltori, FoodDrinkEurope per l’industria alimentare e il Celcaa per gli esportatori, sono passate dagli appelli alle richieste di misure concrete.

Tra l’altro i problemi non sarebbero solo tariffari: ci sono le incognite su regimi di certificazione come il biologico (con il Regno Unito che diventerebbe un Paese «terzo»), cosa scrivere e cosa non scrivere in etichetta, la mancanza di coordinamento sulle emergenze su alimenti e mangimi, oggi coordinate nel sistema Rasff e nei protocolli di cooperazione bilaterale. Tutto tornerebbe in ballo.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’informatore Agrario n. 5/2019
Brexit senza regole: l’agroalimentare si prepara al peggio
di A. Di Mambro
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