Uno sguardo ai produttori dell’altro emisfero

Il vigneto della Nuova Zelanda ha continuato a espandersi negli ultimi 10 anni, tanto che nel 2019 ha raggiunto 38.680 ha contro i 31.964 ha del 2009, con previsione di poter raggiungere e superare i 40000 ha nel 2021. Pur interessando quindi una superficie tutto sommato esigua, soprattutto se paragonata a quella di Spagna, Francia e Italia, questo Paese ha saputo conquistarsi nell’arco di soli due decenni un posto di primo piano nel panorama vitivinicolo internazionale e diventare un modello di riferimento.

La chiave del successo neozelandese può essere ricondotta ad alcuni fattori principali ovvero: condizioni pedoclimatiche favorevoli, grandi dimensioni delle aziende trainanti, programmazione viticola, ricerca viticola/enologica e, soprattutto, capacità di differenziarsi dalle altre nazioni produttrici, puntando con decisione su qualità e sostenibilità in senso lato, non potendo di certo competere sul prezzo, considerati gli elevati costi di gestione e l’estrema lontananza dai mercati.

Nell’arco degli ultimi dieci anni il settore vitivinicolo della Nuova Zelanda è stato interessato da una serie di cambiamenti che ne attestano la dinamicità, i quali ne hanno ulteriormente migliorato le potenzialità e l’efficienza, rendendolo maggiormente competitivo.

Viticoltura di precisione

La presenza di aziende di grande estensione, che costituiscono il nucleo fondamentale della viticoltura neozelandese, ha determinato il raggiungimento di un livello meccanizzazione elevato e, negli ultimi anni, la diffusione di macchine GPS integrate e di sistemi di monitoraggio remoto.

La superficie vitata media nazionale infatti è pari a 19 ha, che sale a 22 ha nella regione Hawke’s Bay e a 25 nella regione Marlborough. L’ingresso di questa tecnologia nel vigneto è finalizzato a una gestione razionale e oculata delle risorse (acqua, fertilizzanti, fitosanitari), al miglioramento della produttività e della qualità, nonché al contenimento dei costi di produzione. Siccome il sistema di allevamento più diffuso è il Guyot, al fine di ridurre l’impiego di manodopera per la potatura invernale sono stati realizzati impianti compatibili con l’impiego delle stralciatrici meccaniche, di fabbricazione europea.

 

Produzione sostenibile e biologica

La Nuova Zelanda, che è la patria della prima azienda certificata a zero emissioni di anidride carbonica, ovvero Grove Mill Estate di Blenheim, ha cercato elementi di distinzione puntando con decisione sulla viticoltura sostenibile e sulla viticoltura biologica, creandosi una solida immagine di “verde e pulita” nell’immaginario di molti consumatori di vino.

Il Sustainable Winegroving New Zealand (SWNZ) è un programma di viticoltura sostenibile creato nel 1997 che mira a ridurre gli input chimici e l’impiego di acqua nel vigneto; attualmente il 98% delle aziende è in possesso della certificazione SWNZ, divenuta indispensabile per poter accedere alle fiere enologiche e per poter esportare. Nonostante un clima piovoso durante la stagione vegetativa, che non rende agevole il controllo delle crittogame, il 7% delle aziende è certificata biologica, seguendo il programma dell’Organic Winegrowing New Zealand (OWNZ). Per la gestione del cotico erboso e per l’esecuzione della defogliazione precoce non di rado si ricorre all’impiego delle pecore, che rappresentano un forte elemento di comunicazione della naturalità in senso lato della produzione.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 5/2020
Il vigneto neozelandese punta su ricerca e sostenibilità
di R. Castaldi
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