La fermentazione spontanea, vantaggi e rischi

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse tra produttori e consumatori verso la produzione di vini che facciano a meno di colture selezionate di lieviti e batteri, con l’intento di valorizzare le peculiarità di ogni vigneto e delle sue uve, data la preoccupazione che la presenza di lieviti selezionati possa omologare i vini.

Occorre osservare che la bibliografia scientifica in merito non dimostra come assolutamente fondata questa preoccupazione ma, d’altro canto, evidenzia la notevole biodiversità della flora microbica spontaneamente presente sulle uve e in cantina invitando a valorizzarne appieno il potenziale enologico.

Le opportunità offerte da una fermentazione alcolica condotta senza l’ausilio di colture selezionate concernono la possibilità di valorizzare appieno le caratteristiche metaboliche delle classi di microrganismi più sensibili all’accumulo di etanolo e dei numerosi ceppi di S. cerevisiae che naturalmente si selezionano durante la fermentazione.

Non che questi microrganismi non siano inizialmente presenti anche nelle vinificazioni condotte con lieviti selezionati, ma l’elevata attività fermentativa dei lieviti secchi, dovuta anche all’alta concentrazione cellulare, fa sì che in poche ore vi sia un tale accumulo di etanolo da eliminare rapidamente molte specie microbiche, riducendone lo spazio d’azione.

Riguardo ai cosiddetti «lieviti apiculati», ovvero lieviti non appartenenti al genere Saccharomyces, un’ampia bibliografia evidenzia come questi microrganismi siano dotati di caratteri metabolici alternativi a quelli di S. cerevisiae. In altre parole, ogni specie ha trovato nell’evoluzione la sua strada per meglio sopravvivere nel mosto e nel vino. Questa diversità fa sì che molte specie di lieviti abbiano capacità di produrre sostanze aromatiche (acetaldeide, esteri fermentativi, acidi grassi e alcoli superiori) differenti da quelle generate da S. cerevisiae, contribuendo ad esempio a liberare aromi primari legati come terpeni o composti tiolici.

Anche la resistenza all’ambiente enologico è differente. Vi sono specie più tolleranti agli stress osmotici, è nota e anche sfruttata commercialmente la buona attitudine di T. delbruekii a fermentare mosti molto zuccherini, e altre maggiormente adattate al freddo come Zygosaccharomyces sp., e dunque in funzione delle scelte operative potremo stimolare o reprimere lo sviluppo di questi microrganismi ottenendo vini più complessi.

Tuttavia la fermentazione spontanea porta con sé anche una notevole imprevedibilità e non sempre i microrganismi presenti nel mosto sono in grado di soddisfare le attese dell’enologo. Con gli strumenti tecnologici come la temperatura, l’ossigeno, le chiarifiche prefermentative e i rimontaggi e con le opportune aggiunte di nutrienti è possibile ottimizzare il potenziale di queste specie. La loro presenza e l’attitudine enologica non è in ogni caso prevedibile a priori e soprattutto in vendemmie difficili il rischio di arresti di fermentazione o deviazioni organolettiche non è trascurabile. Da qui l’interesse per una «terza via» ovvero la selezione di lieviti aziendali.

 

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n.5/2020
Selezione di lieviti aziendali: il protocollo per evitare errori
di R. Guzzon
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