Vini dealcolati, un’opportunità in più per il Vigneto Italia

Quello dei vini dealcolati è un segmento del mercato destinato a una platea sempre più ampia, soprattutto tra i più giovani. Lo dicono le indagini, anche quelle più recenti, ma lo confermano soprattutto i nuovi stili di consumo. Si stima che negli Stati Uniti tutto il beverage dealcolato abbia raggiunto un giro d’affari attorno al miliardo di dollari, cifra destinata a aumentare nel giro di pochi anni.

In Italia, circa un milione di consumatori sarebbe interessato a questo segmento, ma nel nostro Paese la legge riserva l’appellativo di «vino» ai soli prodotti ottenuti dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca, dell’uva ammostata o del mosto d’uva, con gradazione non inferiore a 8°.

Secondo Paolo Castelletti, Segretario generale di Unione italiana vini (Uiv) «l’Italia gioca un ruolo residuale, perché, contrariamente a quanto già succede da due anni tra i colleghi nell’UE, non è ancora possibile per le imprese elaborare il prodotto negli stabilimenti vitivinicoli e non sono state fornite indicazioni agli operatori sul regime fiscale. In sintesi, il prodotto può circolare anche in Italia (come in tutta l’UE), ma i vitivinicoltori italiani non possono produrlo». In aggiunta, uno schema di decreto che dovrebbe superare gli incagli che ancora oggi impediscono la produzione di vini dealcolati in Italia, escluderebbe – aggiunge l’Uiv – le aziende vinicole tra i soggetti abilitati, riservando il processo produttivo della dealcolizzazione alle sole distillerie.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 16/2024
Vini dealcolati, una nuova tendenza dal grande potenziale
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