Agenti di biocontrollo contro le contaminazioni microbiche

Tra le bevande alcoliche il vino ha un ruolo peculiare in quanto considerato da molti consumatori più un «alimento» che una «bevanda». Da questa percezione deriva un’attenzione particolare per la salubrità del vino che non si rincontra, ad esempio, nel settore della birra o dei super alcolici e parallelamente una percezione a volte attenuata dei rischi che l’eccesso nel consumo può provocare.

Sussistono approcci innovativi alla prevenzione delle alterazioni microbiologiche, con l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di anidride solforosa o altri conservanti e, nel contempo, garantire l’assenza di molecole tossiche o sgradevoli, prodotte da microrganismi che possono contaminare i vini. Il tratto comune tra le esperienze che andremo a descrivere è il meccanismo di contrasto ai microrganismi alterativi, ovvero il biocontrollo.
Per biocontrollo si intende l’attività di una specie di microrganismi, utile tecnologicamente o semplicemente non alterativa, capace di inibire lo sviluppo, e dunque l’attività deleteria, di microbi alterativi.

Prima è meglio, l’uso dei lieviti per il biocontrollo

Il primo strumento di biocontrollo sono i lieviti appartenenti al genere Saccharomyces, impiegati per l’avvio della fermentazione alcolica, o specie dalla provata attività fermentativa, meno diffuse, come Torulaspora delbruekii.
Il meccanismo alla base di questo approccio al biocontrollo è in apparenza semplice, ovvero aggiungere una rilevante quantità di microrganismi utili che, colonizzando rapidamente l’ambiente, scongiurino lo sviluppo di altri microbi alterativi.

I lieviti selezionati hanno solitamente un’elevata esigenza nutrizionale data sia dall’alta concentrazione cellulare sia dall’efficiente metabolismo fermentativo. Se non si supportano adeguatamente i loro requisiti in termini di fonti azotate e nutrienti il rischio di uno scarso attecchimento di queste colture è molto alto. Le strategie più attuali prevedono l’inoculo precoce dei lieviti selezionati, in parte già sulle uve se queste sosteranno a lungo prima della lavorazione, e comunque direttamente alla pigiatura, indipendente dal fatto che si voglia un pronto avvio della fermentazione o invece si intenda attuare una macerazione a freddo. Infatti, anche durante la conservazione a bassa temperatura si possono osservare nel mosto sviluppi microbici che andranno a condizionare l’andamento delle fermentazioni, una volta ripristinata la corretta temperatura, dato che lieviti come Brettanomyces o Schizosaccharomyces possono moltiplicarsi, sebbene lentamente, anche a basse temperature.

Un’altra possibilità, recentemente apparsa sul mercato, è quella di favorire il controllo microbiologico innalzando per via biologica l’acidità di mosti poveri in acidi organici, utilizzando lieviti privi di attività fermentativa, ma in grado di accumulare acidi come il lattico.
In questo senso sono oggi disponibili sul mercato ceppi di Lachancea thermotolerans e in passato è stato proposto l’utilizzo di Schizosaccharomyces pombe, lievito in grado di accumulare acido lattico per via malo-alcolica.

Le esperienze con i lieviti non-Saccharomyces

Brettanomyces è il principale lievito alterativo, capace di produrre non solo molecole maleodoranti, ma anche tossiche, come ammine biogene ed etil-carbammato. Essendo piuttosto tollerante all’anidride solforosa occorre individuare strategie alternative. Diversi lavori scientifici, principalmente pubblicati dall’Università delle Marche dal gruppo di lavoro del professor Ciani, hanno rilevato come alcuni ceppi di lieviti non-Saccharomyces, isolabili in mostri e vini, possano contrastare direttamente Brettanomyces mediante la produzione di specifiche tossine killer.

Il carattere killer di alcuni ceppi di S. cerevisiae è noto da tempo e sfruttato per favorire la prevalenza dei lieviti selezionati sulla microflora indigena dei mosti. Qui sono stati impiegati ceppi di Pichia anomala e Kluyveromyces wickerhamii che già dopo 6 ore dall’inoculo hanno manifestato la produzione della tossina con conseguente inibizione dello sviluppo di Brettanomyces. Vi sono evidentemente differenze tra i ceppi, Pichia si è dimostrata generalmente più rapida nell’inibizione, e solo il 25% dei ceppi testati ha manifestato un’attività di biocontrollo generalizzata verso diversi ceppi di Brettanomyces, ma le prospettive sono promettenti perché gli stessi autori, caratterizzando la molecola killer, ne hanno dimostrato la stabilità nel contesto enologico.

Ricercatori francesi e anglosassoni hanno focalizzato la loro attenzione sull’azione dei batteri lattici nell’inibire Brettanomyces o per lo meno l’accumulo di fenoli volatili. È stato dimostrato che il coinoculo tra lieviti e batteri consente di contenere lo sviluppo di lieviti alterativi sia durante la fermentazione alcolica sia al termine di essa, dato che la fermentazione malolattica si svolge contemporaneamente all’alcolica, consentendo una rapida stabilizzazione del vino. S’ipotizza che batteri lattici e Brettanomyces competano per alcune risorse nutrizionali e dunque un’aggiunta tempestiva di un’elevata popolazione batterica renda l’ambiente, ovvero il vino, meno adatto allo sviluppo di Brettanomyces.

 

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n.4/2020
Agenti di biocontrollo contro le contaminazioni microbiche
di R. Guzzon
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