Stelo verde della soia: come riconoscerlo

Soia con sintomi di sindrome dello stelo verde

Per motivi ancora non chiari, talvolta le piante di soia mantengono le foglie verdi sullo stelo che resta anch’esso verde, fino a maturazione dei semi. Tale fenomeno viene definito sindrome o disturbo dello stelo verde della soia, in inglese Green Stem Syndrome o anche GSD: Green Stem Disorder.

In dettaglio, la sindrome dello stelo verde si caratterizza sulla pianta per una conclusione del ciclo comunque non ordinata: la senescenza fogliare allo stadio R7 (maturazione fisiologica) è più o meno ritardata.

In particolare, foglie e steli rimangono vitali, lamine e piccioli non vengono abscissi, mentre la maturazione dei baccelli e dei semi può decorrere pressoché nella norma. Tuttavia, spesso anche i semi mostrano segni di alterazione, per effetto di fattori biotici (insetti, muffe) che interagiscono con l’andamento stagionale di inizio autunno, rispetto al ritardo nella senescenza e al completamento ordinato del ciclo.

Nelle coltivazioni che risultano più pesantemente colpite risulta difficile riconoscere il momento utile per la raccolta meccanica, che è comunque ostacolata per difficoltà nello sfalcio e rischio di intasamento degli organi trebbianti; in aggiunta l’umidità degli steli e delle foglie può trasferirsi ai semi, aumentando i costi di essiccazione e riducendone la qualità commerciale.

In ogni caso, le rese delle colture affette dalla sindrome vengono ridotte, con ripercussioni sulla qualità merceologica della granella.

Colpite soprattutto le colture di primo raccolto

Numerose osservazioni pratiche indicano come nella Pianura Padana la sindrome si registri, anche se con frequenza e severità variabili in funzione di aspetti varietali e ambientali, quasi esclusivamente su colture seminate in primo raccolto, tra aprile e maggio. Quasi assente viceversa nelle colture di secondo raccolto, seminate tra metà giugno e i primi di luglio.
Quale potrebbe essere la ragione? Un possibile scenario può essere delineato come segue.

La soia (gruppi di maturazione tra I e I+) seminata in primo raccolto, fiorisce a inizio luglio. Nelle fasi comprese tra la comparsa dei primi baccellini (R3) e l’inizio della formazione dei semi (R5) subisce inevitabilmente periodi di stress più o meno prolungati, legati alle temperature e alle dotazioni idriche del suolo di piena estate.

Per evitare il rischio di incorrere nella sindrome dello stelo verde è necessario fare il possibile per evitare alla coltura stress dovuti ad attività di insetti, malerbe o di tipo climatico ambientale

È infatti esperienza comune il fatto che i produttori agricoli siano attenti a gestire l’irrigazione alle colture di mais, molto meno per quelle di soia. Sui suoli superficiali dell’alta pianura a ridotta capacità di trattenuta idrica, ciò significa che nelle giornate di grande caldo allo stress idrico si aggiunge lo stress termico.

In tali condizioni, la cascola dei giovani baccelli è molto rilevante, anche se in genere senza immediate conseguenze per la pianta, che mantiene le sue strutture fogliari anche se con riduzione del tasso di fotosintesi. Nelle settimane seguenti, dalla seconda o terza decade di agosto, gli apporti idrici naturali o artificiali possono ristabilire le condizioni per la normale fisiologia della pianta, che può riprendere quindi le attività di accumulo di fotosintetati e di biomassa.

Tuttavia, qualora le pregresse condizioni di stress abbiano comportato una marcata riduzione del numero di baccelli e di semi in formazione, la piena ripresa della fotosintesi non trova spazi adeguati a stoccarne i prodotti nei semi in accrescimento (sink principali). In tali condizioni, la pianta inizia a utilizzare strutture vegetative (foglie, stelo, probabilmente radici) come depositi aggiuntivi. Il regolare procedere della senescenza monocarpica si inceppa, le foglie e gli steli accumulano amido e anche proteine di riserva restando vive, con la chiusura del ciclo che rallenta in misura notevole.

Come affrontare il problema

La sindrome dello stelo verde può rappresentare una sfida per i produttori di soia in Pianura Padana. Esistono differenti quadri nella sintomatologia e ancora poca chiarezza relativamente all’eziologia, anche se gli esperti tendono a convergere sul fenomeno dello sbilanciamento tra superfici fogliari e sink di accumulo.

In ogni caso, è di fatto impossibile intervenire tempestivamente nel corso della stagione, in quanto la manifestazione dei sintomi è molto prossima alla raccolta. Tuttavia, esistono alcune possibilità: tra queste, fare il possibile perché la coltura sfugga agli stress, dovuti ad attività di insetti, malerbe o di tipo climatico ambientale. In questo senso l’impiego di semente tracciata, che è soggetta a lavorazioni di pulizia e ad una serie di controlli volti a verificare l’assenza di patogeni e di semi estranei, è una misura che potrebbe ridurre i rischi legati agli stress dovuti ad attività di insetti e malerbe. Per quanto attiene ai periodi di carenza idrica e stress termici, sempre più frequenti nei mesi centrali dell’estate stante la crisi climatica, negli ambienti ove sia difficile intervenire con apporti idrici tempestivi e i suoli sono superficiali, è saggio valutare con attenzione la data più opportuna per la semina, ricordando che la soia è ottima anche come coltura di secondo raccolto. In presenza di una sintomatologia severa, una raccolta a velocità ridotta o persino la rinuncia a raccogliere le zone più severamente colpite può essere un’opzione.

Va da sé che l’argomento meriti molto lavoro ulteriore sul piano scientifico. Ciò dovrebbe essere prodotto entro uno (o più) progetti di ricerca che tentativamente riuniscano università, centri di ricerca del CREA, aziende sementiere interessate.