Oliveto superintensivo, la longevità dipende da varietà e vigoria

L’espansione dell’olivicoltura ad altissima densità (SHD), meglio nota come superintensiva, negli ultimi 25 anni ha rappresentato una svolta strutturale per la nuova olivicoltura mondiale.

Vi è la convinzione che questi impianti «non durino nel tempo», con un presunto declino produttivo dopo 10-15 anni. Evidenze sperimentali ed esperienze aziendali continuano a dimostrare con assoluta certezza che tale presunta criticità non è intrinseca al sistema: deriva piuttosto da errori di progettazione e di gestione dell’oliveto.
La longevità economica di un impianto ad altissima densità non è un limite biologico, bensì un limite agronomico: varietà, potatura, fertilizzazione, irrigazione e difesa fitosanitaria sono i punti cardine per allungare la vita non tanto biologica di questi impianti, ma soprattutto economica.

Scelta varietale e vigoria

Tra tutti i fattori, la scelta varietale è senza dubbio il primo e più determinante. La struttura vegetativa stessa del sistema − una parete produttiva continua meccanizzabile e stabile nel lungo periodo − può essere realizzata solo con cultivar che possiedono vigoria contenuta, ramificazione fitta e internodi corti.
Negli ultimi tre decenni, l’Italia ha svolto un ruolo centrale nel rinnovamento varietale per la bassa vigoria, che ha prodotto cultivar oggi considerate tra le più promettenti e performanti del panorama internazionale.

  • Lecciana. Questa varietà rappresenta la prima delle cultivar di nuova generazione adatte per il superintensivo. La sua vigoria medio-bassa, simile a quella di Arbequina, permette di mantenere una parete estremamente stabile, con un razionale contenimento meccanico. La produzione è in tal modo regolare, precoce, con buona efficienza produttiva.
  • Coriana. È la seconda nuova cultivar a bassa vigoria, caratterizzata da portamento piangente, chioma densa e una fertilità eccezionale. È stata concepita fin dall’inizio per rispondere ai criteri fisiologici del superintensivo, con entrata in produzione già al secondo anno.
  • Elviana. Rappresenta una nuova cultivar adatta alla produzione di olive da mensa che amplia la geografia «economica» dell’olivicoltura superintensiva.

Oltre a Lecciana, Coriana ed Elviana, oggi sono disponibili altre cultivar sviluppate da diversi programmi di miglioramento genetico, come Sultana e le sue «sorelle» Sikitita e Sikitita 2 dell’Università di Cordoba e la serie I di Todolivo, tra cui spicca la I-15.

La potatura

La potatura di allevamento e di produzione dell’oliveto superintensivo è una tecnica di gestione agronomica altrettanto importante quanto la scelta varietale ai fini della longevità dei nuovi impianti (foto 1).

Trattrice con barra falciatrice
Foto 1- Trattrice con barra falciatrice a dischi per topping e hedging

La parete produttiva deve rimanere sempre permeabile alla luce e fisiologicamente equilibrata. Il contenimento attraverso topping, hedging e trimming deve rispettare la vigoria naturale della cultivar.
Le cultivar citate in precedenza, proprio per la loro bassa vigoria, si prestano in modo eccellente alla potatura meccanica ripetuta, che non compromette la capacità produttiva.

Irrigazione e nutrizione

Acqua e nutrienti devono garantire efficienza fotosintetica e stabilità produttiva, senza stimolare eccessi vegetativi.
L’irrigazione localizzata a goccia, con turni frequenti e volumi modesti, anche in subirrigazione, si è dimostrata il metodo irriguo migliore per mantenere attiva la parete senza innescare vegetazione squilibrata.
L’irrigazione in deficit idrico controllato (RDI) applicato nelle fasi meno sensibili allo stress idrico della stagione permette di controllare ulteriormente la vigoria, migliorando al contempo la qualità dell’olio. Inoltre, la gestione irrigua in deficit idrico riduce significativamente l’entità dei sintomi di cercosporiosi.
Allo stesso modo, una fertilizzazione frazionata calibrata, in particolare nella gestione dell’azoto, consente di sostenere la produzione senza favorire il rigoglio vegetativo.

Difesa fitosanitaria

La difesa negli impianti superintensivi non dipende soltanto dal trattamento fitosanitario, ma dal sistema colturale nel suo complesso.
Diversi lavori hanno dimostrano in modo chiaro come la presenza e la variabilità dei principali fitofagi dell’olivo siano fortemente influenzate sia dalla cultivar sia dal sistema colturale adottato.
Cultivar con chiome più aperte tendono a mostrare minori densità di fitofagi rispetto a cultivar più vigorose e con chiome dense. Questo significa che la scelta varietale ha un impatto diretto non solo sulla potatura e sulla produttività, ma anche sulla difesa fitosanitaria nel lungo periodo.
In un oliveto superintensivo, con parete uniforme e trattamenti più rapidi ed efficaci, questa relazione è ancora più rilevante. Inoltre, è stata dimostrata la resistenza al cicloconio della maggior parte delle cultivar di nuova generazione e la forte interazione con l’andamento climatico nel caso di infezioni da Pseudomonas.

L’esperienza dei campi storici

A conferma della reale longevità del modello superintensivo, è utile tornare alle sue origini e agli impianti che ne hanno fatto la storia.

Azienda La Valonga

Il primo passo decisivo verso l’olivicoltura ad altissima densità fu la scelta, allora ritenuta troppo audace, di piantare 1.600 alberi in appena un ettaro. Fu un gesto che finì però per cambiare il paradigma dell’olivicoltura mondiale. Questa intuizione si concretizzò presso l’azienda La Valonga, a Binéfar (Huesca), in Spagna, dove venne realizzato nel 1994 il primo oliveto in parete del mondo e si effettuò la prima raccolta meccanica in continuo della storia dell’olivicoltura nel 1996 (foto 2).

Impianto Azienda La Valonga
Foto 2- Impianto di olivo a media e ad altissima densità nell’azienda spagnola La Valonga, in Binéfar (Huesca), realizzato nel 1994

Campo sperimentale Martucci

Parallelamente, il campo sperimentale presente nel centro didattico sperimentale Martucci dell’Università di Bari «Aldo Moro» a Valenzano (BA) (foto 4), realizzato nel 2006, vent’anni fa e con 19 diverse varietà tra cui Arbequina, Arbosana e Koroneiki, rappresenta la principale esperienza di lungo periodo in ambiente mediterraneo italiano.

Oliveto Azienda Martucci
Foto 4- Oliveto ad altissima densità del Centro didattico sperimentale Martucci a Valenzano (Bari) impiantato nel 2006

Fin dal momento dell’impianto, questo oliveto è stato monitorato e studiato dal gruppo di ricerca di coltivazioni arboree dell’Università degli studi di Bari, che per due decenni ha prodotto dati scientifici e tecnici di enorme valore: dalla crescita della parete, alla risposta alla potatura meccanica, alle rese, alla qualità dell’olio, fino alla sostenibilità idrica e nutrizionale del sistema.
Oggi, dopo 20 anni, nell’impianto di Valenzano, le cultivar adatte a questo sistema continuano a garantire produzioni medie superiori alle 7-8 t/ha, confermando la piena vitalità del sistema anche con le cultivar di prima generazione.

Da cosa dipende la durata

L’esperienza combinata di La Valonga e Martucci dimostra in modo inequivocabile che gli oliveti superintensivi, quando progettati e gestiti correttamente, possiedono una vita economica lunga, di almeno 20 anni, solida e del tutto compatibile con le esigenze della moderna olivicoltura, ben oltre le previsioni iniziali formulate nei primi anni di sperimentazione.
Ne discende che la longevità di un oliveto superintensivo non è un limite fisiologico della specie né un vincolo strutturale del sistema, ma il risultato di un insieme di scelte tecniche consapevoli.
Il percorso compiuto dall’olivicoltura superintensiva negli ultimi 30 anni dimostra che quando genetica, gestione della chioma, gestione idrica e difesa fitosanitaria vengono integrate secondo criteri agronomici rigorosi, la produttività si mantiene elevata e stabile nel tempo.

Longevità sempre più concreta

Il superintensivo non è un sistema «a tempo», ma un modello agronomico moderno, che richiede mentalità imprenditoriale e assistenza tecnica specializzata.
Quando questi elementi sono tutti presenti, l’olivicoltura superintensiva dimostra non solo di essere sostenibile ed economicamente competitiva, ma anche capace di garantire continuità produttiva e qualità dell’olio nel lungo periodo, contribuendo in modo determinante al futuro dell’olivicoltura mediterranea e mondiale.

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 42/2025
Oliveto superintensivo, la durata parte dalla gestione della vigoria
di F. Maldera, F. Nicolì, S. Camposeo
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