Aria e luce per le serre del futuro

All’Olanda, nota in Europa come il «paese delle biciclette», è riconosciuto un altro primato che coinvolge il settore primario. Le cosiddette Greenhouse olandesi (coperture a serra) sono senza dubbio lo specchio dell’avanguardia tecnica di un sistema agricolo che ha saputo aggregarsi puntando sulla ricerca e sull’innovazione. E i risultati sono presto detti. L’Italia, territorio mediterraneo con clima caldo e temperato, ogni anno importa tonnellate di pomodori olandesi, prodotti in un’area caratterizzata da temperature rigide e scarsa esposizione al sole. Abbiamo raccolto il punto di vista di un’esperta altamente specializzata nel controllo microclimatico delle serre, finalizzate principalmente alla produzione orticola e di piante. Cecilia Stanghellini è una ricercatrice italiana che opera da oltre 30 anni presso la Wageningen University and Research, in Olanda. Dopo aver conseguito un Master of Science in Fisica e un Dottorato di ricerca in Agricoltura e scienze ambientali, Stanghellini è oggi la fi gura responsabile di alcuni importanti progetti sperimentali che hanno l’obiettivo di individuare nuove tecniche per l’ottimizzazione delle produzioni agricole o florovivaistiche all’interno di serre ad alta tecnologia.

La serra è un ottimo collettore di energia solare, capace di trasformare le radiazioni luminose in calore, ma come si riesce a mantenere l’equilibrio tra energia termica e ventilazione?

La serra è un vero e proprio collettore di energia. Per definizione ha la capacità di raccogliere e trattenere i raggi solari, trasformandoli in risorsa termica funzionale alla creazione di uno specifico microclima sotto copertura. In questo contesto, la ventilazione rappresenta il meccanismo basico di controllo della serra, in quanto serve a mantenere un equilibrio in termini di temperatura e di scambio carbonico. Questo concetto deve essere applicato a tutte le tipologie di coperture, indipendentemente dalla fascia climatica di appartenenza e dal livello di dotazione tecnologica della struttura. Nell’area mediterranea la quantità di luce disponibile varia in base alla stagione: abbondante in estate, ridotta in inverno. Questa situazione deve essere regolata mediante un controllo automatizzato delle aperture, al fine di garantire l’equilibrio nella raccolta e nello scarico di energia. A tal proposito, le strutture adeguate prevedono sistemi computerizzati che rilevano i fattori interni alla serra (temperatura, magari anche umidità e concentrazione di anidride carbonica), sulla base dei quali il programma di ventilazione regola l’apertura (più o meno accentuata) delle finestrature, facendo circolare l’aria in un meccanismo di scambio esterno-interno. La ventilazione forzata è necessaria solo in quei casi nei quali la struttura non sia stata progettata in modo adeguato. Altra cosa sono i circolatori d’aria, sempre utili a facilitare la destratificazione nelle ore notturne. Sottolineo che una serra olandese necessita di minore ventilazione rispetto a una serra italiana, ragion per cui coloro che operano nelle fasce climatiche più calde devono avere una capacità di ventilazione maggiore.

Spesso viene applicata la calce bianca come riflettente della luce, al fine di evitare il surriscaldamento delle serre. Cosa ne pensa di questa tecnica?

Credo che talvolta manchi la consapevolezza sulle potenzialità della ventilazione. Limitare l’ingresso dei raggi solari significa ostacolare i processi fotosintetici delle piante e quindi limitarne le capacità produttive. Ad esempio, in Spagna (ad Almería) gli agricoltori usano la calce bianca già dal mese di marzo, mentre potrebbero ridurre moltissimo i mesi di «imbiancamento», a fronte di una migliore capacità di ventilazione. Sulla base delle ricerche sperimentali condotte, possiamo oggi affermare che una corretta ventilazione sia la «cura» di base da somministrare a tutte le serre, pur considerando l’esistenza di colture fotosensibili che hanno bisogno di essere schermate (come molte piante ornamentali) per evitarne la bruciatura. Anche il raffreddamento evaporativo rappresenta un valido sistema di refrigerazione dell’aria: l’acqua nebulizzata evapora spontaneamente, assorbendo l’energia necessaria dall’ambiente circostante. Il rovescio della medaglia è rappresentato, ovviamente, dalla necessità della risorsa acqua.

Come avvengono l’aerazione e lo scambio carbonico internamente alla serra?

In assenza di addizionamento carbonico, un’altra conseguenza deleteria della scarsa ventilazione è la depleture in piena estate, Isola Verde ha fortemente investito nella realizzazione di un sistema semi-automatizzato costituito da teli ombreggianti (in polimero in rete in HDPE stabilizzato ai raggi UV) che, posizionati sotto serra, rendono più facili e sicure le operazioni di apertura e di chiusura della struttura, riducendone anche l’usura. L’innovazione presenta numerose sfaccettature che toccano anche gli aspetti agronomici e di tecnica colturale. Per consentire la raccolta dei dati relativi all’andamento climatico dell’ambiente circostante (quali temperatura, umidità, precipitazioni) son state posizionate esternamente alle serre delle capannine agrometeorologiche. Mediante l’elaborazione dei dati con dei sistemi di supporto alle decisioni (DSS), le aziende agricole di Isola Verde riescono a sintetizzare e raccogliere una grande mole di dati, utilizzati per ottimizzare la programmazione colturale in serra. Oltre agli aspetti di natura strutturale e gestionale, l’organizzazione di produttori annovera inoltre un sistema di fertirrigazione, realizzato con ugelli di ultima generazione e ad alta efficienza. Inoltre i macchinari impiegati in azienda consentono lavorazioni di precisione, nel rispetto della sostenibilità ambientale e permettendo un risparmio energetico. È il caso del pirodiserbo che riduce l’umidità del terreno e di conseguenza la proliferazione di malattie fungine (con la conseguente diminuzione nell’uso di agrofarmaci). E ancora, le seminatrici pneumatiche di precisione per una lavorazione rapida, efficace e uniforme della terra, le raccoglitrici elettriche in sostituzione dei macchinari alimentati a carburante, le botti per i trattamenti con barra a manica d’aria per ridurre l’effetto deriva, impianti «biobed» per lo scarico e il trattamento in sicurezza delle acque di lavaggio delle irroratrici. Altri aspetti innovativi riguardano l’eliminazione delle eventuali erbe infestanti mediante la scerbatura manuale (eliminando in questo modo i diserbanti chimici), il sovescio per migliorare la struttura del terreno, oltre all’impiego di Bacillus subtilis e amyloliquefaciens e Trichoderma per contrastare i miceti dannosi presenti nel terreno, come Sclerotinia e Rhizoctonia. Le serre così strutturate permettono e facilitano le operazioni di solarizzazione, ossia la geodisinfestazione sostenibile, facilmente applicabile durante la stagione estiva quando i raggi solari hanno alta intensità e sviluppano il massimo calore. L’energia accumulata dalla serra sotto forma di calore surriscalda il suolo, abbattendo la carica microbica fi topatogena del terreno e inattivando buona parte delle sementi delle erbe infestanti. I.C. Seminatrice in azione Operazioni di raccolta delle baby leafzione di CO2, dovuta all’assorbimento dell’anidride da parte delle piante durante il processo di fotosintesi. Una concentrazione minore di anidride carbonica causa inevitabilmente una riduzione della fotosintesi e questo si traduce in una perdita di produzione. Anche per questo è essenziale governare bene la ventilazione. In Italia esistono esempi di somministrazione forzata di anidride carbonica, la cui regolazione richiede alta tecnologia.

Tra i materiali generalmente utilizzati per realizzare le coperture esistono differenze consistenti?

I materiali generalmente utilizzati sono il vetro e la plastica (soprattutto polietilene). All’interno di ciascuna categoria esistono delle differenze abissali in termini di qualità e durevolezza: la proprietà principale da considerare è la trasmissività emisferica, cioè la trasmissione per luce proveniente da qualunque direzione (non solo direttamente dal sole). Anche nel vetro ci sono ordini di qualità diversi, in base ai trattamenti ricevuti da ogni lastra e rispetto al grado di trasparenza. Altro fattore da tener presente è lo spessore della struttura (le parti non trasparenti): piú sottile possibile e, laddove fattibile, trattato in bianco per aumentare la riflessione verso l’interno. Un buon materiale di copertura è in grado di garantire alta trasmissività e diffusività, ma (come spesso succede) questa qualità superiore ha un costo altrettanto maggiore e questo blocca gli agricoltori nell’investire sul vetro e sulla plastica durevole.

In riferimento alle coperture diffusive, quali sono le nuove tendenze?

Lo scopo delle coperture diffusive è quello di distribuire luce senza perderla, spalmandola sulle foglie in ombra e ottenendo in questo modo una temperatura più uniforme della pianta (con conseguente minore necessità di imbiancamento). Agli agricoltori italiani suggerisco di richiedere sempre dati seri e precisi sulla trasmissività emisferica del materiale di copertura e sulla propria diffusività, tenendo conto che esistono differenze anche del 20-30% tra una plastica e l’altra, a parità di trasmissività per luce perpendicolare (che rappresenta il dato normalmente fornito dai produttori).

Quali aspetti di attenzione e manutenzione devono essere adoperati dagli agricoltori sulle strutture coperte?

È molto importante apportare una buona pulizia alla copertura della serra, dove tendenzialmente si depositano impurità e polvere. Le nuove tecnologie propongono sistemi automatizzati dotati di spazzole, sviluppati in modo specifico per le serre a tunnel. Inoltre, dovrebbero essere utilizzati dei prodotti adeguati, in base alla composizione delle plastiche o del vetro. Un altro aspetto di particolare riguardo è legato al raffreddamento radiativo. Di notte la serra perde energia sia per il contatto con l’aria più fredda, sia per la perdita di radiazione termica verso gli strati alti (e molto freddi) dell’atmosfera (fenomeno reso evidente dalla brina che si forma soprattutto in notti di cielo sereno). In alcune zone, al fine di limitare le perdite radiative (soprattutto nei mesi invernali) gli agricoltori bagnano il tetto delle coperture: l’acqua funge da strato protettivo e ostacola in questo modo il raffreddamento radiativo. Nonostante questa strategia sia funzionale, determina un consumo eccessivo e poco sostenibile d’acqua. In alternativa, il metodo migliore rimane l’utilizzo del tessuto alluminato. I cosiddetti «schermi energetici» aggiungono uno strato di copertura che funge da isolante termico, mentre la componente di alluminio limita le perdite radiative. Studi condotti hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica che consente di mantenere 2-3 gradi in più di notte, in una serra non scaldata. Quindi, prima di utilizzare il riscaldamento, bisognerebbe munire le serre di schermi energetici, che con l’ausilio di un sistema (ovviamente) automatizzato, vengono dispiegati nelle notti invernali e successivamente riavvolti durante il giorno, occupando il minor spazio possibile per evitare l’effetto ombra sulle piante.

Dopo tanti anni di ricerca presso l’Università olandese di Wageningen, quale consiglio darebbe agli agricoltori italiani che producono in serra?

In Italia sono presenti due fasce climatiche con potenziale produttivo molto diverso: le temperature continentali del Nord consentono una coltivazione nel ciclo primavera-estate- autunno, mentre l’inverno mite del meridione permette di produrre in autunno- inverno-primavera (senza l’utilizzo di riscaldamento). Un consiglio strategico è quello di consorziarsi e creare delle sinergie che permettano al sistema agricolo italiano di fare squadra. Attraverso un approccio coeso e organizzato, in Olanda i produttori riescono (parzialmente) a influenzare il prezzo dei prodotti e a gestire la concorrenza, mentre in Italia il valore dei generi alimentari è in balia dell’andamento e delle oscillazioni di mercato. Un altro consiglio riguarda le tecnologie da applicare in serra. Nonostante lo sforzo economico che serve per adottare soluzioni innovative sia spesso sostanzioso, queste pagano in termini di resa. Naturalmente non bisogna adottare alla cieca la tecnologia «olandese», ma è necessario fare una buona analisi costi-benefici. Il comparto agricolo italiano, frazionato e frammentato, limita i produttori: dinanzi all’impossibilità di fissare un prezzo, sono costretti a limitare gli investimenti in azienda e di conseguenza a depotenziare le proprie produzioni. Questo porta inevitabilmente (e aggiungo, purtroppo) alla perdita di qualità e produttività delle coltivazioni. L’assenza di controllo sul processo produttivo fa sì che la produzione sia in gran misura determinata dalle condizioni meteorologiche, con conseguenze deleterie sui prezzi, elemento che a sua volta disincentiva gli investimenti, generando un circolo vizioso.

Ilenia Cescon