Fertilizzare le orticole: serve affidabilità

«Nella zona che seguo ormai l’80% degli agricoltori sono imprenditori veri e propri, sanno bene quanto sia importante portare sul mercato dei prodotti orticoli di qualità migliore possibile e la fertilizzazione viene eseguita in modo corretto, prestando attenzione sia all’efficienza agronomica, sia alla sostenibilità ambientale». La zona di cui parla Daniele Fortunato, tecnico di Spazio Verde srl, è la Piana del Sele, che conta circa 8.000 ettari di colture orticole.

«Assieme alla difesa, la nutrizione è l’agrotecnica principale per la produzione di finocchi, cavolfiori, rucola e delle tante altre colture tipiche di questa zona e ormai anche per quanto riguarda la concimazione di fondo con i granulari, un tempo messa in secondo piano rispetto alla fertirrigazione, ormai viene eseguita correttamente dalla maggioranza delle aziende agricole».

Daniele Fortunato

Secondo Fortunato la fertilizzazione all’impianto è come la prima poppata per un neonato, «è un intervento fondamentale per tutto lo sviluppo della pianta; io personalmente consiglio l’abbinamento tra un concime minerale a lenta cessione e una matrice organica e sconsiglio di sostituire la concimazione di fondo con gli interventi in fertirrigazione perché non si ottengono gli stessi benefici in termini di sviluppo della pianta. Si chiama anche concimazione di base perché, appunto, getta le basi per la crescita futura della pianta, quindi anche per la sua produttività in termini di reddito».

Anche per quanto riguarda l’impiego di fertilizzanti a lenta cessione Fortunato ha le idee chiare: «Per le colture orticole a ciclo lungo, come il cavolfiore e il finocchio, il vantaggio di questa tipologia di concimi è sia ambientale, sia economico. Ambientale perché riducono il rischio di inquinamento di nitrati nei suoli, economico perché, nonostante abbiano un costo di acquisto leggermente superiore a quello dei concimi convenzionali, danno la certezza che tutto l’azoto che viene fornito a una coltura verrà utilizzato dalla pianta e non si perderà per lisciviazione o volatilizzazione. Inoltre, le dosi di utilizzo dei lenta cessione sono inferiori rispetto ai convenzionali, quindi su grandi superfici c’è un vantaggio economico. Facciamo un esempio generale – spiega Fortunato –: se su finocchio solitamente si utilizzano in pieno campo dai 5 ai 7 q/ha di un concime NPK convenzionale, con il lenta cessione localizzato sulla fila ne bastano dai 3 ai 5. Ovviamente in linea di massima, per un piano di concimazione corretto è fondamentale consultare le analisi del terreno».

L’importanza del marchio

Chi commercia in fertilizzanti sa bene che la qualità delle produzioni si ottiene con la qualità dei prodotti e il marchio, in questo senso, è sempre una garanzia: «Ritengo che tra i fertilizzanti con marchi conosciuti e altri “indifferenziati” la differenza di efficacia sia evidente. La prova di quello che dico lo vedo spesso in campo, o me lo fanno vedere direttamente gli agricoltori: se a fine ciclo si ritrova un residuo del fertilizzante significa che gli elementi nutritivi non sono andati alla produzione, ma sono rimasti lì inutilizzati.

Con i prodotti di alta qualità, che garantiscono solubilità e assimilabilità da parte delle piante questo non succede mai, però può capitare con i fertilizzanti di dubbia provenienza. È il modo migliore per buttare via i soldi – scherza Fortunato – a fronte di un presunto risparmio di pochi euro al chilo si compromette la redditività della coltura. E teniamo presente che i margini di reddito delle orticole ormai non lasciano spazio all’improvvisazione».

Lorenzo Andreotti