Rizomania della barbabietola: non abbassiamo la guardia

Sintomi di rizomania su barbabietola da zucchero

La rizomania è una malattia virale della bietola (BNYVV: Beet necrotic yellow vein virus, ovvero virus delle vene gialle necrotiche della bietola, acronimo coniato nel 1915 nelle aree anglosassoni, ma senza scoprirne la causa), trasmessa dal vettore Polymyxa betae, pseudo-fungo ubiquitario nel terreno.

Segnalata per la prima volta in Italia nel 1959, iniziò la sua diffusione negli anni 60 e venne coniato il nuovo termine «rizo-mania» (dal prof. Antonio Canova che dimostrò la causa virale) per i sintomi che causava sulle radici, con restringimento della parte caudale e abnorme proliferazione di capillizio radicale a scapito della crescita della radice.

I danni erano molto gravi, con aumento dei valori di sodio, perdita di purezza dei sughi in fase di lavorazione, oltre che di peso e soprattutto polarizzazione (dapprima in Veneto con valori inferiori a 10 gradi), fino a una riduzione dell’80% di saccarosio.

In un secondo tempo si diffuse a Sud del fiume Po e poi in Europa, decretando la chiusura di zuccherifici a causa della drastica riduzione della convenienza della bietola rispetto ad altre colture.

I metodi di lotta mediante allungamento della rotazione, miglioramento della struttura del suolo e della rete scolante per evitare ristagni idrici, non erano sufficienti a contrastare i danni che aumentarono nel corso degli anni fino a che non vennero introdotte negli anni 80 le prime varietà tolleranti a seguito di importanti investimenti da parte delle società sementiere che fecero tesoro dei precedenti studi del prof. Munerati (Stazione bieticola di Rovigo).

L’inserimento del gene «Rizor» e successivamente «Holly o RZ1» permise di riprendere la coltivazione con successo per la buona tolleranza al «ceppo A» diffuso in Italia e in Europa.
Da ormai 40 anni la tolleranza alla rizomania è divenuta una costante in tutte le varietà commerciali, data per scontata anche se il livello dell’infezione nei suoli è generalmente nullo o insignificante.

Nel corso di questi ultimi anni sono stati però identificati in Europa altri due ceppi di rizomania (B e P), caratterizzati da differente virulenza e struttura dell’RNA, a seguito di mutazione del virus e possibile rottura della resistenza alla rizomania.

In Italia al momento tale fenomeno non preoccupa, ma sono già stati segnalati subdoli casi di rizomania, che non presentano i classici sintomi sopra descritti (inizialmente più simili ad attacchi di rizoctonia), ma che allo specifico test ELISA risultano positivi.

Dagli studi condotti nel corso degli anni 90 fortunatamente sono state individuate nelle bietole selvatiche, importante fonte di miglioramento genetico (Beta maritima), altri geni di tolleranza alla rizomania (WB42 o RZ2), che gradualmente sono stati inseriti in alcune nuove varietà.

In prova ormai da alcuni anni, queste non hanno mai evidenziato differenze produttive significativamente superiori, probabilmente perché non era presente il patogeno mutato. Nel corso della sperimentazione effettuata nell’anno 2022, però, in una località del Veneto è stata purtroppo localizzata questa problematica, dove solo alcune varietà erano pressoché asintomatiche (Renja, BTS 1820 N, BTS 6975 N e altre sperimentali) o hanno permesso di vegetare con blanda (Fiammetta, Benvenuta, Orazia, Dolerosa e altre sperimentali) o limitata sintomatologia (Bali, Fitis, Yucatan, Raison, Marinella, Ameriva, ecc.), a differenza di tante altre che purtroppo hanno evidenziato un danno produttivo come da riferimenti bibliografici (perdite produttive dal 30 all’80%).

Per questi motivi, visto che la natura procede per il suo corso, è bene monitorare i casi sospetti segnalando ai tecnici la presenza di eventuali danni allo scopo di procedere con analisi e diagnosi del caso. Nel frattempo, il miglioramento genetico risponderà alle nuove esigenze con l’inserimento di tolleranze multiple, che rendono sempre più complessa la ricerca e lo sviluppo di nuove linee per stare al passo con i tempi (rizomania, nematodi, cercospora, stress termici, ecc.).

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 41/2022
Semine primaverili 2023: le barbabietole consigliate
di G. Campagna
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