Novamont, la chimica amica dell’ambiente

Catia Bastioli
Catia Bastioli, amministratore delegato di Novamont

Catia Bastioli non ha bisogno di presentazioni. È la scienziata di fama internazionale che dalle ceneri del fallimento del Gruppo Ferruzzi, nei primi anni 90, ha avuto la capacità non solo di proseguire le ricerche e i brevetti sulle bioplastiche, ma anche di «costruire» e organizzare un’azienda, di cui oggi è amministratore delegato, il cui successo è interamente basato su tecnologie «green»: Novamont.

L’attività di ricerca ed economica di Novamont si inserisce perfettamente nel solco del New Green Deal europeo anticipandolo però di oltre 30 anni!

Quindi, per capire quali saranno le opportunità e il ruolo dell’agricoltura nell’ambito dell’economia verde e circolare promosse dal New Green Deal europeo, anche attraverso i fondi del Pnrr, abbiamo voluto intervistarla.

Dottoressa, con quali prodotti è nata Novamont e dove sta guardando per la crescita?

Novamont è nata sulla spinta di una esigenza molto sentita in Italia, ovvero quella di contrastare la deindustrializzazione e la globalizzazione di quegli anni pensando a un progetto con le radici nel territorio, rigenerando i tanti siti deindustrializzati e contaminati attraverso le nostre tecnologie.

Abbiamo attivato le ricerche sulle bioplastiche che a un certo punto siamo riusciti a produrre in modo industriale e a costi concorrenziali a partire dalle biomasse agricole, come l’amido di mais e l’olio vegetale, divenendo produttori leader in Europa.

Tra le tante referenze produciamo bioplastiche biodegradabili destinate all’industria dei mezzi tecnici per l’agricoltura, come i teli biodegradabili nel suolo per la pacciamatura, al confezionamento di derrate agroalimentari, al food service, alla raccolta differenziata, ecc.

La frontiera sarà però anche la generazione di bioprodotti da affiancare a quelli dell’industria chimica tradizionale, ad esempio i biolubrificanti, i biostimolanti per le coltivazioni agrarie, gli strumenti di biocontrollo come prodotti fitosanitari a base di acido pelargonico.

Lo sviluppo dell’attività di Novamont quindi è strettamente interconnesso con l’agricoltura, che rappresenta, al contempo, un importante mercato di sbocco, ma è anche fondamentale per l’approvvigionamento di materie prime e come laboratorio per sviluppare pratiche rigenerative fondamentali per una bioeconomia realmente circolare.

Un esempio?

Cito l’esperienza legata alla coltivazione sperimentale del cartamo e del cardo, in grado di fornire il tipo di olio e di biomassa rispondente alle esigenze di bioraffinerie come Matrica, la joint venture tra Novamont ed Eni Versalis a Porto Torres (Sassari), da cui si ottengono biochemical a basso impatto ambientale e alto valore aggiunto, destinati anche a settori come farmaceutica e cosmesi.

Questo progetto ha consentito di recuperare alcuni stabilimenti del vecchio polo petrolchimico e al contempo di offrire agli agricoltori l’opportunità di sfruttare terreni aridi e marginali per la coltivazione del cardo.

Qual è la strategia di Novamont?

La sfida per il futuro è «l’interdisciplinarietà » e la «connessione» con i territori e con altri attori di diverse filiere, tra cui soprattutto quella agroalimentare. In Sardegna con la realizzazione della bioraffineria Matrica e la collaborazione con Coldiretti, i ricercatori del CREA e le università, si sono create competenze importanti sulle aridocolture e la loro capacità di rigenerazione. Abbiamo sperimentato macchine per la raccolta del cardo, selezionato sementi diverse adatte alla coltivazione e con elevato contenuto in olio.

Con Melinda, ad esempio, la collaborazione ha riguardato lo sviluppo di un imballaggio totalmente biodegradabile per la commercializzazione delle mele bio, che può essere compostato e pertanto adatto a tornare nel suolo arricchendolo di sostanza organica. Inoltre, abbiamo avviato un progetto per l’estrazione di zuccheri di seconda generazione dagli scarti di lavorazione dei succhi di mela destinati ad alimentare la produzione di bioplastica: un perfetto esempio di bioeconomia circolare. Questi sono solo due dei tanti progetti attivati.

È un progetto replicabile?

Applicando il modello della bioeconomia circolare abbiamo contribuito alla creazione della prima filiera italiana integrata per le bioplastiche e i biochemical, con la salute del suolo come punto di partenza e di arrivo, riattivando 5 siti deindustrializzati e creando accordi di filiera con il mondo dell’agricoltura, collaborando con gli impianti di compostaggio, nonché con una rete di trasformatori innovativi, con la gdo, con le università e i centri di ricerca.

Lo sviluppo di bioprodotti innovativi come soluzioni sistemiche ha dimostrato di poter alimentare le tante e diversificate filiere di grande valore presenti nei diversi territori del nostro Paese, valorizzando biomasse di scarto o produzioni agricole dedicate.

Questa è la strategia di Novamont per crescere e quanto finora realizzato ha un enorme potenziale evolutivo in termini di applicazioni, di creazione di filiere integrate, di moltiplicazione di partnership e di progetti di innovazione partecipata.

Antonio Boschetti

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