Frumento e mais: filiere in cerca di valorizzazione

Se da una parte gravano diverse «ombre» su frumento e mais italiani, tra le quali gli effetti del cambiamento climatico e andamenti di mercato decisamente fiacchi uniti alle difficoltà nella reale valorizzazione del prodotto, dall’altra esistono anche delle opportunità, delle «luci», che la filiera deve essere in grado di cogliere: la sostanziale buona tenuta dei numeri dell’export del Made in Italy agroalimentare (formaggi e salumi, che necessitano un certo quantitativo di mais di origine locale per le dop) e le NBT (new breeding tecnologies) che offriranno agli agricoltori varietà capaci di sfruttare meglio le sostanze nutritive del terreno, di resistere alla siccità e alle malattie più diffuse per ridurre l’uso di agrofarmaci e quindi l’impatto sull’ambiente.

Questo in sintesi il messaggio emerso dal convegno «Frumento & mais: basi dell’agroalimentare italiano» organizzato da Aires (Associazione italiana raccoglitori, essiccatori e stoccatori) a Rovigo lo scorso 14 dicembre. Dopo i saluti del presidente di Aires Gianfranco Pizzolato, di Carlo Salvan (Coldiretti), Dario Nicolin (CMCP) e Giordano Aglio (CIA), la prima sessione, dedicata al frumento, è stata aperta con la presentazione dei risultati 2019 del progetto Sigecodon a cura di Enrico Costa e Davide Valentini, agronomi, e Roberto Causin, fitopatologo dell’Università di Padova.

Strategie per contrastare le micotossine nel grano

SiGeCo DON (Sistemi di Gestione della difesa dalle fusariosi della spiga del frumento e Controllo delle contaminazioni da DON) è un progetto che ha lo scopo di fornire agli operatori della filiera grano duro un quadro complessivo della contaminazione della micotossina DON nel frumento raccogliendo le informazioni provenienti dal territorio creando al contempo una rete tra i diversi attori della filiera per sfruttare le migliori tecniche di gestione e controllo di questa problematica.

La sala del convegno presso il Cen.Ser di Rovigo

Da un’annata all’altra la suscettibilità delle varietà unita agli andamenti meteorologici può determinare, oltre a forti variazioni produttive e qualitative, problematiche sanitarie legate al contenuto del deossinivalenolo nella granella, con ovvie ripercussioni per la redditività delle colture e offrire al produttore informazioni tecniche affidabili sulla resistenza varietale, tecnica agronomica e efficacia di prodotti fitosanitari o di controllo biologico per guidarlo nelle scelte è una strategia fondamentale per ridurre i rischi fitosanitari.

Filiere invisibili e necessità di innovazione

La seconda sessione, dedicata al mais, è stata aperta dall’intervento di Luca Rossetto, economista agrario dell’Università di Padova, che ha evidenziato come nel mais la filiera sia “invisibile”: «il consumatore percepisce meglio il valore di una materia prima in una filiera agroalimentare “Made in Italy” se i passaggi per arrivare al prodotto finito sono pochi, come per esempio il grano duro di origine italiana per la pasta. Per il mais è tutto più complesso perché sebbene sia un ingrediente fondamentale per il comparto carne e lattiero-caseario dop, la sua reale origine, nazionale od estera, resta praticamente sconosciuta al consumatore finale.
Una soluzione a questa criticità potrebbe essere quella di separare la sua filiera – ha aggiunto Rossetto – magari tramite normative che obblighino il mais estero ad essere impiegato esclusivamente nei mangimi non dop, sullo stile di quanto si fa in ambito biologico».
Secondo Amedeo Reyneri, docente di agronomia e colture erbacee dell’Università di Torino, il nodo centrale della crisi del mais resta quello della produzione: «promuovere la qualità del mais italiano in ottica di filiera può aiutare sicuramente a ridare slancio a questa coltura, tuttavia in un contesto di prezzi internazionali bassi e mercati aperti il mais nazionale si ridurrà ulteriormente senza un adeguamento delle produzioni.
A breve potremmo sicuramente disporre di una serie di innovazioni tecniche efficaci – ha aggiunto Reyneri – e gli agricoltori sono aperti all’innovazione, ma i consumatori lo sono?».
Il riferimento alle nuove tecnologie di breeding come il genome editing è chiaro e «non possiamo perdere altro tempo, è venuto il momento di innovare ricorrendo a queste nuove tecnologie – ha evidenziato nel suo intervento Gianni Barcaccia, docente del Dafnae dell’Università di Padova. Sappiamo indurre le mutazioni genetiche e usare le trasformazioni genetiche per creare nuovi alleli e produrre piante con nuovi caratteri, senza contare che l’Italia ha una grande tradizione nel miglioramento genetico delle piante agrarie, anche sull’uso di metodi di selezione genetica assistita da marcatori molecolari. Il ricorso alle nuove tecniche di miglioramento genetico per la creazione di variabilità biologica (varianti geniche) e per la costituzione di nuove varietà non è più procrastinabile se vogliamo davvero puntare a una agricoltura sostenibile e competitiva».

 

Lorenzo Andreotti

 

Ai link sottostanti è possibile scaricare le presentazioni del convegno

Progetto SiGeCoDon (Enrico Costa, Davide Valentini e Roberto Causin)
Mais e Frumento: filiere invisibili…o quasi (Luca Rossetto)
Diversificare la tecnica colturale per ambiente e destinazione produttiva (Amedeo Reyneri)
NBT: le nuove tecniche di miglioramento genetico delle piante (Gianni Barcaccia)