La prossima sfida per l’agricoltura è riuscire a fare cultura

L’Opinione di Davide Viaggi

Davide Viaggi
Davide Viaggi, Università di Bologna

Nelle giornate dal 10 al 12 ottobre scorso si è svolto a Matera il convegno scientifico «Economics of culture and food in evolving agri-food systems and rural areas» (Economia della cultura e del cibo in sistemi agroalimentari e aree rurali in evoluzione).

Il convegno è stato ufficialmente riconosciuto come 174° Seminario dell’Associazione europea degli economisti agrari (Eaae) ed è stato organizzato congiuntamente da Associazione italiana di economia agraria e applicata (Aieaa), Centro studi di estimo ed economia territoriale (Ceset), Società di economia agroalimentare (Siea), Società italiana degli economisti agrari (Sidea), Centro di politiche e bioeconomia del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA-PB).

Nell’ambito del convegno la Rete rurale nazionale ha organizzato una tavola rotonda su «Cibo, qualità e cultura: quali sfide per l’agroalimentare e per i territori rurali».

Anche chi non si occupa di politica accademica potrà facilmente riconoscere nella complessità organizzativa sia la cronica frammentazione italiana sia la volontà di fare sistema nel rivolgerci al contesto internazionale.

Nel corso delle tre giornate sono stati presentati oltre cento lavori provenienti da tutta Europa e oltre, ma con una non casuale concentrazione sull’Italia. Hanno partecipato oltre duecento studiosi e operatori del settore.

I temi sono stati tanti e attuali: il ruolo della cultura e delle culture nell’evoluzione dei consumi; il legame tra cultura, territori e valorizzazione delle risorse naturali; il nesso tra appartenenza, consapevolezza e comportamenti in ambito agroalimentare; il ruolo della cultura nell’accettazione e nella creazione dell’innovazione in campo agroalimentare e nello sviluppo dell’imprenditorialità. L’elenco potrebbe continuare a lungo.

Si è parlato, nelle stesse aule, di grani antichi e di «impossible burger», di certificazione halal e di insetti come cibo, di alternative food networks e di marketing avanzato dei colossi della grande distribuzione.

Cibo ambasciatore di cultura

La scelta di Matera non è stata casuale. Ha voluto cogliere l’occasione di Matera Capitale europea della cultura. La collocazione e il nesso simbolico con la città di Matera hanno messo in evidenza due elementi che vanno ben oltre i dettagli.

Il primo è che non esistono più nicchie o settori isolati da un’economia globale che vive di varietà e differenziazione, dinamicità e contaminazioni. Il comune denominatore di un settore agricolo e alimentare vitale, pur nella crescente varietà, deve essere la capacità di dialogare con il resto del mondo sul piano della riconoscibilità nella differenziazione, della standardizzazione e della certificazione.

Ma c’è qualcosa di più importante, come la stessa città di Matera ha dimostrato ai visitatori. La parola cultura non rappresenta solo un insieme di idee di contorno. Per il settore agricolo non si tratta solo di attività estranee al settore (e alla ricerca economica che se ne occupa). Qualcosa che ha a che fare con eventi che attirano l’attenzione del consumatore e permettono quindi di vendere un po’ di più e un po’ meglio.

La cultura è il cuore delle nostre società ed è il vero punto di partenza attorno al quale catalizzare attenzione ed energie. Si è competitivi prima di tutto facendo cultura. Non è un’opzione. È una sfida. Difficile certo. Richiede energia, visione, positività, apertura. Ma una sfida necessaria e imprescindibile per evitare di ritrovarci sempre più al margine non solo dell’agricoltura, non solo dell’economia, ma anche della società mondiale. E se c’è un ambasciatore di cultura, prima di tante altre cose a volte più appariscenti, questo è proprio il cibo.

 

Articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 41/2019