Origine in etichetta: la parola torna alla Commissione

Latte Foto: © ValentynVolkov - iStockphoto.com

La recente sentenza della Corte di Giustizia europea sull’obbligo di indicare in etichetta l’origine del latte nei prodotti lattiero-caseari (vedi notizia) ha aperto nuovi scenari.

Se non ha apertamente bocciato l’origin française del latte, infatti, la Corte ha però specificato una gerarchia dei criteri e delle condizioni che servono per rendere legittima l’introduzione di un regime del genere.

La sentenza ricorda che la legislazione UE non preclude la possibilità per gli Stati di imporre l’indicazione di origine. E che le disposizioni nazionali devono essere giustificate sulla base di due requisiti: l’esistenza di un nesso comprovato tra le qualità di detti alimenti e la loro origine o provenienza; la prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

La sentenza ha rinviato la decisione finale al Consiglio di Stato francese per vedere se questi criteri sussistano. Ma anche se così non fosse, difficilmente ci saranno sconvolgimenti sulle etichette che ci sono già. Probabilmente, questo sì, sarà più difficile il futuro ricorso alla via nazionale.

A quel che L’Informatore Agrario ha potuto ricostruire, per giustificare le sue disposizioni la Francia ha usato un concetto «relazionale» di qualità in cui il primo e il secondo requisito si sovrapponevano. Il nesso «comprovato» tra qualità e origine, è la tesi francese, starebbe nel fatto che i consumatori danno un valore in termini di qualità a quel tipo di informazione.

Il dossier presentato dall’Italia, invece, conteneva parametri oggettivi riguardanti le cellule somatiche, la carica batterica e il contenuto proteico.

Ora gli occhi sono puntati sul dibattito che si aprirà sull’etichettatura in generale, dall’origine al nutriscore al benessere animale, e che potrebbe far registrare già a dicembre novità interessanti, con le attese conclusioni sul tema del Consiglio dei ministri dell’agricoltura.

La Commissione potrebbe far tesoro delle indicazioni dei giudici europei. Soprattutto sul nesso di qualità oggettiva, del quale la Corte UE ha fatto emergere le potenziali contraddizioni. Il concetto di qualità «relazionale» dei francesi ha senso, e forse è l’unica strada logicamente praticabile perché spiega l’obbligo di indicazione di origine come un fattore di domanda dei consumatori. In ultima analisi, di mercato.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 33/2020
Sull’origine in etichetta la parola torna alla Commissione
di A. Di Mambro
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