Mandorlo, il consumo cresce ma occorre rinnovare la gestione

mandorleto

Il comparto frutta secca sta riscuotendo negli ultimi anni un successo sempre crescente, sia in ambito mondiale sia nazionale, con il consumatore oggi sempre più attento a produzioni di qualità, e anche biologiche, per quanto riguarda soprattutto nocciolo e mandorlo; anche i consumi e le superfici investite per le varie specie sono in costante aumento dai primi anni 90.
A un incremento annuale medio delle superfici per la specie mandorlo superiore all’8%, si è accompagnata una crescita media dei consumi di circa il 7%, sempre a livello annuale a partire dal 2010 (fonte Inc – International nut and dried fruit).
Il mandorlo è una specie che caratterizza storicamente tutti gli ambiti frutticoli mondiali a clima caldo e arido; la sua produzione è concentrata principalmente negli USA (California in primis), in Spagna e in Turchia, con una decisa ascesa, negli ultimi anni, degli impianti in Australia. In Italia la coltivazione del mandorlo si attesta su circa 58.336 ha (Istat, 2016), in deciso calo rispetto ai primi anni 90, quando detta superficie risultava di 122.934 ha. Le regioni dove si concentra la produzione sono Sicilia e Puglia, con trend diversificati, ma comunque in calo.

Produzione e consumi

La situazione produttiva italiana non è in grado di coprire il fabbisogno nazionale di mandorlo, di conseguenza si assiste a un incremento del prodotto importato, con la bilancia commerciale che propende a favore dei Paesi esportatori, USA in primis.
L’incremento continuo dei consumi di frutti a proprietà funzionale come il mandorlo, che apporta positive influenze al sistema immunitario nonché al mantenimento di buone funzionalità per pelle e capelli, è indubbiamente un’opportunità che i settori produttivo e commerciale devono cogliere, pena la dipendenza sempre maggiore da produzioni estere.
Dati Fao stimano in circa 30.000 t l’import di mandorle sgusciate a fronte di un export irrilevante, per cui si presume che lo spazio commerciale ci possa essere, a condizione che tutta la tipologia di gestione dell’impianto sia orientata a questi nuovi orizzonti.
Sia per l’import sia eventualmente per l’export si affacciano all’orizzonte interessanti opportunità, ma il sistema produttivo nazionale deve rinnovarsi velocemente, per fronteggiare il sempre attuale rinnovo delle grandi realtà californiane, e gli ingenti investimenti effettuati in Spagna e anche in alcuni Paesi dell’Est Europa e dell’Asia.
La mandorlicoltura italiana dovrebbe rinnovarsi sfruttando le proprie peculiarità ambientali, coltivando sia nuove varietà sia portinnesti, oltre che adattare questi nuovi impianti verso tipologie d’impianto a media densità, compatibili con una sempre maggior meccanizzazione, possibilità di irrigazione, con conseguente precoce entrata in produzione e minori costi di gestione.
In Italia oggi le cultivar sono principalmente a guscio duro. Oltre a Tuono, tra le cultivar tradizionali, prevalgono le varietà Pizzuta d’Avola e Fascionello per la confetteria, Filippo Ceo, Fragiulio Grande, Genco, Falsa Barese e, tra quelle internazionali, la francese Ferragnés.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 19/2019
Mandorlo, il consumo cresce ma occorre rinnovare la gestione
di S. Foschi
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