Le criticità della filiera del legno in Veneto

Enzo Bozza, presidente del Consorzio Legno Veneto

In Italia il 30% del territorio è occupato da foreste, un dato in linea con la media europea dove il bosco occupa un terzo dello spazio disponibile. Se la penisola italiana è considerata un importante polmone del continente europeo, il Veneto segue a ruota questo andamento con il 24% di copertura arborea.

La fascia montana abbonda in vegetazione, a compensazione delle aree planiziali che negli anni sono state lentamente depauperate, al punto da raggiungere percentuali di disboscamento pari al 99%.

Il Consorzio Legno Veneto, attraverso il presidente Enzo Bozza, persevera nell’opera di sostegno alla filiera del legno veneto, cercando di individuare una strategia utile alla realizzazione di una crescita sostenibile e strategica.

Presidente, la tempesta Vaia ha messo a dura prova la filiera del legno veneto, cosa è successo?

L’evento straordinario Vaia può essere paragonato a uno “stress test”: sottoposta a una prova senza precedenti, la filiera del legno veneto è stata pesantemente attaccata e affondata, peraltro già senza godere di buona salute. In questa situazione di eccezionale avversità, sono emerse in modo lampante le difficoltà che il settore stava da tempo attraversando.

Quali sono gli ostacoli che affronta la filiera del legno veneto?

I principali problemi sono senza dubbio la frammentazione della proprietà forestale (suddivisa tra pubblico e privato), la dimensione delle aziende boschive che nella maggior parte dei casi sono di piccola scala, lo scarso utilizzo del legname locale nell’ambito dell’industria di trasformazione regionale a sua volta dovuto alla mancanza di segherie, l’assenza di reti di teleriscaldamento alimentate a biomassa legnosa laddove dirottare parte del legname di scarto. Nel percorso verso la sostituzione del legno al petrolio, uno degli usi più convenienti delle componenti meno nobili del legno è la produzione di energia mediante la cogenerazione e la distribuzione del calore attraverso reti di quartiere.

Dai boschi da reme della Serenissima Repubblica alle foreste dolomitiche, la montagna veneta storicamente rappresenta una importante risorsa di legname di alta qualità. Non a caso mercati come quello austriaco, laddove le segherie assicurano una capacità di lavorazione del grezzo pari a 1,7 milioni m3/anno, attingono in abbondanza dalla miniera boschiva regionale. Attualmente in Veneto le segherie ammontano a una decina (considerando le realtà significative) con capacità produttiva di 20-30.000 m³/anno.

Le segherie rappresentano un anello fondamentale della filiera del legno, ragion per cui la loro mancanza in Veneto costringe le aziende boschive a esportare il legname che viene poi riacquisito dai trasformatori (soprattutto mobilifici) sotto forma di semilavorato. La bilancia dei pagamenti segna un valore positivo di circa 2 miliari di euro all’anno, riferito ai prodotti finiti che l’industria veneta esporta all’estero.

Abbiamo legname a sufficienza?

Talvolta dimentichiamo che la missione primaria dei boschi è quella di produrre legname. Lo spontaneo avanzamento del bosco deve essere gestito dall’uomo, oltre che alternato alla presenza di appezzamenti agricoli, considerando l’abbattimento selettivo come una risorsa che consente parallelamente di contenere la crescita delle foreste, di garantire un’economia montana e di salvaguardare il paesaggio da rischi ambientali. Attualmente la foresta veneta copre circa 430.000 ha di terreno distribuito sull’area alpina e prealpina, dato in aumento rispetto ai 390.000 ha conteggiati negli anni ’80. Per il 67% sono boschi di proprietà privata, tra i quali il 5% è in mano agli organismi collettivi noti come “Regole” alle quali prende parte l’intera comunità che abita una determinata zona.

Quali soluzioni potrebbero essere apportate?

Per consentire alle aziende boschive di essere competitive sul mercato, è necessario operare un adeguamento in termini di meccanizzazione. Considerando che oggi un’azienda boschiva nel Veneto è mediamente composta da due unità lavorative (addetti ai lavori) con una capacità operativa di 2.000 m3/anno, si comprende quanto il settore necessiti di una rivisitazione in termini di specializzazione e ampliamento delle potenzialità produttive. Al fine di consentire una maggiore capacità di lavoro e abbassare i costi, diventa essenziale favorire le potenzialità delle ditte, sia in termini di dimensioni lavorate sia in termini di alti standard meccanici nei cantieri (introducendo stabilmente attrezzature di base quali harvester, forwarder, skidder, gru a cavo). Concetto strettamente legato alla qualificazione professionale che, parimenti, ha l’obbligo di essere potenziata (l’utilizzo di macchinari high-tech richiede competenza e professionalità certificate).

Parallelamente, infatti, dovremmo affiancare al percorso lavorativo anche un percorso scolastico adeguato, con il fine ultimo di creare interessanti opportunità per i giovani. La qualificazione degli operatori forestali potrebbe essere sviluppata nell’ambito di una Scuola Forestale ad hoc, fondata sul modello della scuola austriaca di Ossiach. Inoltre, l’attivazione di un corso per istruttori forestali (organizzato dall’Agenzia Veneta per il Settore Primario) consente di formare gli istruttori con riconoscimento di EFESC (European Forestry and Environmental Skills Council). Sarebbe inoltre importante offrire opportunità di aggiornamento continuo sui temi quali bioingegneria e riqualificazione fluviale, tecnica dei rimboschimenti, cure colturali ai boschi danneggiati e tecniche di esbosco ad alta meccanizzazione.

Come affrontare il problema delle segherie?

Senza efficienti e moderne segherie il legname dei nostri boschi non riuscirà a restare in loco. Difatti, senza segherie adeguate non possiamo sperare che la trasformazione del legno veneto avvenga lungo la filiera regionale. Esse rappresentano l’anello della filiera deputato a condurre la produzione di pannelli, travi lamellari o semplicemente di pellet usando gli scarti più nobili delle attività di segagione.

Purtroppo, gran parte del valore aggiunto del legname dei nostri boschi ad oggi finisce fuori regione od oltre confine. Ricordiamo che l’Italia è uno dei Paesi europei con il più basso tasso di utilizzazione dei propri boschi: il 24 % contro una media europea del 59% (l’Austria, nostro principale competitor, si attesta sul 90%).

Dobbiamo altresì considerare che far nascere dal nulla (o quasi) unità produttive di almeno 100.000 m3/anno non è un’operazione semplice, richiede capitali e capacità imprenditoriale. Sarebbero necessari forti investimenti, magari supportati da Fondi europei di vario titolo, da far confluire in “segherie aggregate” create sul modello delle cantine sociali o dei caseifici cooperativi. Un primo tentativo di aggregazione è stato avanzato dal Consorzio Legno Veneto che coordina la Rete Innovativa Regionale “Foresta Oro Veneto”.

Come potrebbe essere valorizzato il legno veneto?

In Veneto, come in Italia, il bosco è estremamente eterogeneo. Siamo il Paese della biodiversità, a differenza (ad esempio) delle foreste della Svezia che possono contare solamente su abete rosso, pino silvestre e betulla. Riuscire valorizzare e promuovere adeguatamente il legno del Veneto è senza dubbio il passo che il sistema regionale deve compiere, ponendo l’accento sul marchio di qualità degli alberi che compongono la macchia alpina, come l’abete di Asiago, il larice di Zoldo, il faggio del Cansiglio, il castagno delle piccole Dolomiti, associando così al legno un nome, una storia e una identità legata alla nostra regione.

Ilenia Cescon