Inizia male il 2021 dell’export agroalimentare

Il 2021 non parte bene per l’export agroalimentare Made in Italy. Gli effetti della pandemia sul commercio internazionale continuano a pesare e fanno perdere a cibo e bevande tricolori il 5% sui mercati esteri nel mese di gennaio rispetto allo scorso anno.

Analizzando i dati Istat pubblicati oggi, la Cia-Agricoltori Italiani sottolinea come siano in calo tutti i principali mercati di sbocco, dal Regno Unito (-27,8%) agli Stati Uniti (-17,4%), dalla Francia (-10,5%) alla Germania (-1,5%). Fa eccezione solo il Giappone, dove le vendite di prodotti agroalimentari nazionali segnano +7,7% nel primo mese dell’anno.

Per ora – osserva l’Ufficio studi Cia – la riduzione delle importazioni nello stesso arco temporale si traduce comunque in un surplus della bilancia agroalimentare che, in termini assoluti, vale 139 milioni di euro e consente all’Italia di confermarsi a gennaio esportatore netto di cibo e bevande. È chiaro, però, che diventa sempre più importante dare risposte nuove alle imprese del settore che combattono tuttora con la situazione pandemica.

«Per preservare e rilanciare il Made in Italy agroalimentare sui mercati europei e internazionali – sottolinea il presidente Dino Scanavino – sicuramente serve un grande piano nazionale di promozione, strategie innovative sempre più focalizzate sui canali digitali, ma soprattutto, in questa fase di crisi globale, è sempre più urgente favorire tra Paesi accordi commerciali multilaterali e bilaterali». A cominciare dagli Stati Uniti.

Gli Usa infatti – ricorda la Cia – continuano a rappresentare un mercato assolutamente strategico per l’export di cibo e bevande tricolori, con un valore complessivo di 4,9 miliardi nel 2020 (+5%).
«È chiaro che la sospensione dei dazi Usa-Ue, relativi al contenzioso Airbus-Boeing, è di estrema importanza – evidenzia Scanavino – e permette alle nostre aziende di tirare un sospiro di sollievo in un momento difficile. Però questo ritorno al dialogo e al multilateralismo deve essere l’occasione non solo per sorpassare del tutto l’incubo dazi doganali, ma per riallacciare anche politiche di commercio bilaterali più strutturate e consolidate».