Campi dell’Emilia-Romagna a rischio siccità

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Da martedì 13 luglio, secondo quanto dichiarato dall’assessore regionale all’ambiente Irene Priolo, potrebbero scattare in Emilia Romagna i primi divieti di emungimento delle acque dei torrenti. Sale quindi l’allarme siccità per gli agricoltori – denuncia Confagricoltura Emilia-Romagna – proprio nella fase clou dell’annata agraria. Le maggiori criticità si registrano in Val D’Arda e in Val Tidone, nel Piacentino, ma anche nel Parmense e in Val D’Enza nel Reggiano, come, in parte, pure nel Bolognese e in Romagna.

«L’Emilia-Romagna – dice il presidente, Marcello Bonvicini – ha bisogno di potenziare la sua capacità di raccogliere e trattenere acqua nel periodo invernale, per poter disporre della risorsa idrica durante i periodi siccitosi. Mancano gli invasi di stoccaggio e, in molte aree, l’approvvigionamento principale proviene da acque piovane e torrenti appenninici. L’ultimo Piano irriguo nazionale risale al 2008, mentre quello regionale è datato 2015: dobbiamo muoverci. Il clima sta cambiando velocemente. Le difficoltà non si affrontano imponendo dei divieti: servono programmazione e progettazione».

Sono essenziali nuovi modelli e parametri in grado di coniugare la salvaguardia dei fiumi con le esigenze del territorio. Confagricoltura Emilia Romagna chiede «di intervenire subito e convocare d’urgenza, in Regione, il Tavolo delle acque, al quale devono partecipare oltre ai consorzi di bonifica anche le rappresentanze economiche, in particolare il mondo agricolo, così da stabilire azioni sia nel breve che nel medio-lungo termine. Occorre una visione prospettica, riprendere in mano il Piano acque e dare risposte concrete agli inarrestabili effetti del cambiamento climatico nella nostra regione».

Il presidente Bonvicini pone anzitutto l’attenzione su due ambiti d’intervento: «In primis aiutare le imprese a riorganizzare e modernizzare i propri sistemi di irrigazione, attraverso misure specifiche di finanziamento nell’ambito del Programma regionale di sviluppo rurale. Poi è inderogabile, nel lungo periodo, costruire invasi di piccole e medie dimensioni negli areali più fragili, come quelli collinari, per captare la risorsa idrica nel momento in cui si verificano piovaschi intensi che nell’era del climate change sono diventati la normalità».