ARSIAL, allarme per l’abbandono colturale degli olivi

Vivo allarme di ARSIAL per l’abbandono colturale degli oliveti nella Regione Lazio, fenomeno che sta monitorando e studiando perché richiede correttivi pena la perdita, oltre che della produttività, pure della biodiversità. Senza olivicoltura viene meno un patrimonio colturale ma anche culturale e paesaggistico e c’è un depauperamento del territorio.

Il fenomeno dell’abbandono colturale è indubbiamente connesso ad un’inevitabile ristrutturazione del settore produttivo. Tendono a scomparire, per molteplici motivi, le aziende più piccole, fuori dai circuiti produttivi, che non riescono a dare redditività. Da un lato questo fenomeno porta alla ricomposizione fondiaria e ad un superamento della frammentazione che pesa sul settore produttivo (laddove la SAU esodata viene acquisita da altre imprese più strutturate, che stanno sul mercato ed operano azioni di rafforzamento aziendale); dall’altro però porta preoccupanti e pericolosi problemi di abbandono colturale.

Quello che preoccupa – ed uno studio di ARSIAL lo ha posto in evidenza – è la “fragilità” del settore olivicolo; a livello nazionale secondo dati ISMEA del 2014 (richiamati dal Piano di Settore Olivicolo-oleario del 2016) il 63% delle aziende olivicole si può definire “fragile”.

In generale l’abbandono colturale porta ad una perdita di SAU e di biodiversità, un fenomeno che ARSIAL va denunciando da tempo: “Le aree agricole ad elevato valore naturalistico, qualora incolte, sono interessate dall’insediamento di essenze arboree spontanee”; così, ad esempio, si perdono pascoli che sono fondamentali per la biodiversità zootecnica.

Nel Lazio vi sono migliaia di ettari di oliveti già “in transizione” a bosco. C’è una normativa nazionale (D. Lgs. 34/2018, Testo Unico per le Filiere Forestali – TUFF) finora inattuata, che introduce criteri minimi nazionali per il riconoscimento dello stato di abbandono delle attività agropastorali. Ad avviso di ARSIAL, tale norma “è davvero innovativa, in quanto permette di introdurre nei singoli Piani Paesaggistici Regionali una previsione espressa di individuazione degli elementi di agricoltura tradizionale ad elevata valenza paesaggistica meritevoli di recupero”.

Come monitorare il territorio ed i suoi mutamenti? Attraverso l’aerofototeca. ARSIAL si avvale  delle immagini del volo GAI (Gruppo Aeronautico Italiano) del 1954;  nel 2022 poi ha acquisito le immagini IGM (Istituto Geografico Militare) relative all’intero territorio del Lazio. Di tali immagini ne ha curato la mosaicatura e georeferenziazione per generare uno strato informativo omogeneo di scala regionale da mettere a disposizione dei sistemi locali interessati (sono già utilizzate per supportare i sistemi locali della Sabina e della Tuscia per avviare la caratterizzazione dei paesaggi storici ad oliveti). Ha pure in corso una collaborazione con l’Università del Molise per una valutazione delle transizioni intervenute in zona agricola, al netto del consumo di suolo.

Banche dati fondamentali sono quelle riconducibili alla combinazione di Anagrafe Aziendale – Agricoltore Attivo – Catasto Olivicolo; però – ad avviso di ARSIAL – occorrerà estendere il lavoro di monitoraggio su tutte le superfici olivetate, non solo a quelle beneficiarie di provvidenze.

La problematica dell’abbandono interessa tutti i territori del Lazio, che necessitano di un lavoro capillare, di scala comunale, anche in aree olivicole di elevata specializzazione e reputazione come la Sabina romana e reatina, dove è forte l’impatto della senilizzazione degli addetti.

La situazione più critica si rileva però per le aree interne di Latina, Frosinone e Roma, che assommano gran parte dei 57.640 ettari di oliveti rilevati da immagine e fuori dai fascicoli con PCG (Piano Colturale Grafico); in tali territori l’entità delle superfici silenti e le caratteristiche fisiche di alcune aree non sembra lasciare molto margine per un recupero produttivo, a fronte dell’insediamento di essenze forestali e del conseguente trasferimento di migliaia di ettari nella sfera ambientale.

LA FILIERA OLIVICOLA LAZIALE

La filiera olivicola del Lazio è di particolare interesse, in primo luogo per il suo valore sociale: al 2018 vi sono superfici olivetate a fascicolo in 359 dei 378 comuni regionali, anche se le situazioni territoriali sono molto differenziate. Accanto al rischio di abbandono, l’orientamento al mercato della componente più vitale della filiera olivicola è attestato dall’operatività di 7 diverse OP, 438 frantoi e 604 imbottigliatori notificati al 31/12/2020 su SIAN, mentre, sul versante della certificazione della qualità vanno annoverate 4 DOP (Tuscia, Sabina, Canino e Colline Pontine), 1 IGP (Roma) e, secondo dati ISMEA 2021, oltre 10.600 ettari di oliveti condotti in biologico. Si stima un patrimonio di circa 16 milioni di piante di olivo, con una produzione media annua di circa 20.000 tons di olive.

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