Alla pandemia gli agricoltori rispondono con la filiera corta

Nel secondo trimestre 2020 il Pil è crollato del 10,9% nei Paesi OCSE e del 17,7% in Italia. In particolare, nel settore primario il valore aggiunto agricolo è diminuito del 4,9% rispetto al secondo trimestre del 2019 (fonte Istat). I prezzi all’origine dei prodotti agricoli nazionali nel secondo trimestre del 2020 hanno perso lo 0,9% su base annua, a seguito del ribasso dal paniere dei prodotti animali (-9,6%), mentre i listini dei prodotti vegetali sono aumentati rispetto al livello del secondo trimestre del 2019 (+8%), fatta eccezione per l’olio e gli ortaggi.

Così ISMEA annuncia i dati della congiuntura agroalimentare al secondo trimestre 2020, rilevando un avvenuto spostamento delle aziende agricole verso nuove soluzioni logistiche e organizzative dei canali di vendita. Il mercato, infatti, sembra muoversi verso la vendita diretta, fenomeno che deve essere letto soprattutto alla luce delle difficoltà generate dalla pandemia in atto.

Il 21,7% degli agricoltori intervistati da ISMEA ha scelto di raggiungere il consumatore finale in autonomia, senza l’intermediazione della catena distributiva e commerciale. Un dato in aumento del 5% rispetto al 2019. Inoltre, è doveroso evidenziare che, in questi casi, la vendita diretta ha assorbito l’82% della produzione aziendale, quota che nel 2019 si attestava al 73%.

La scelta dei canali di sbocco rimane comunque eterogenea. Olio e ortaggi si posizionano al vertice della vendita diretta, rispettivamente con il 67% e il 37% delle imprese. Inoltre, il 40% delle imprese che vendono direttamente al consumatore finale sono certificate biologiche (mentre la quota delle aziende bio sull’intero campione intervistato si ferma al 26%). È emerso inoltre che le aziende del mezzogiorno sono maggiormente orientate alla vendita diretta (26,5%) rispetto al centro-nord (18,8%).

In linea di massima, cooperative, industria di prima trasformazione, intermediari e vendita diretta costituiscono spesso scelte esclusive di vendita, affidando in questo modo l’intera produzione a un unico canale.  L’industria di seconda trasformazione, il dettaglio tradizionale, la GDO e l’Ho.re.ca. sono usati in concomitanza ad altri canali.

A detta di ISMEA, l’accorciarsi della filiera conferisce il carattere di sostenibilità alla stessa, garantendo parallelamente maggiore reddito a questo canale di vendita, superando i 6,5 miliardi di euro a livello nazionale nel 2020. La vendita diretta diventa il terzo canale di vendita prescelto dagli agricoltori, subito dopo la commercializzazione mediante conferimento del prodotto a OP e cooperative (pari al 39% del campione) e l’intermediazione dei canali commerciali (25% degli intervistati).

Considerando la produzione complessiva di prodotti commercializzati dalle imprese agricole, in media il 28,5% è destinata a cooperative e organizzazioni di produttori, il 22,2% a intermediari commerciali (raccoglitori, grossisti, importatori esteri o esportatori nazionali, centri di stoccaggio, e così via), il 18,8% alla vendita diretta, il 14% all’industria di prima trasformazione, il 5,6% alla GDO, il 4,6% al dettaglio tradizionale/specializzato, il 2,1% all’Ho.re.ca. e una quota irrisoria è affidata all’industria di seconda trasformazione (0,6%). Se confrontati con gli anni precedenti, il dato mostra una riduzione della commercializzazione mediante forme aggregate di agricoltura (36,6% nel 2019), un calo nei rapporti diretti con l’industria di prima trasformazione (15,8% nel 2019), a vantaggio degli intermediari commerciali (19,3% nel 2019), della vendita diretta al consumatore (12,4% nel 2019), della GDO (4,4% nel 2019) e dell’Ho.re.ca. (0,3% nel 2019).

Ilenia Cescon