Foraggi nella razione: qualità al primo posto

Quando si parla di foraggi si è sempre ragionato sul giusto compromesso tra quantità e qualità per rendere economicamente vantaggiose le operazioni di raccolta e conservazione.

Oggi, considerate le esigenze degli animali e i prezzi di mercato delle materie prime, la scelta va fatta dando solo la priorità alla concentrazione energetica e proteica degli alimenti che vogliamo produrre, anche a scapito di una parziale riduzione della produzione finale di sostanza secca.

Rispetto a 15-20 anni fa i cantieri di raccolta sono molto più performanti ed efficienti e consentono di gestire ampie superfici in tempi relativamente brevi. Questo ha permesso, insieme al miglioramento del sistema di conservazione dei foraggi, di incrementare significativamente il rapporto tra la sostanza secca prodotta in campo e quella portata alla bocca dell’animale, che è stato per anni il tallone d’Achille dei sistemi colturali basati sull’integrazione dei foraggi prativi con i concentrati. In questo modo è possibile contenere i costi di produzione anche quando le quantità da raccogliere potrebbero far pensare il contrario.

Naturalmente la scelta del momento in cui effettuare la raccolta rimane il fattore principale che guida e determina la qualità finale del prodotto ottenuto. Per le foraggere prative il momento per effettuare il taglio va individuato, senza compromessi, in stadi precoci di sviluppo (botticella per il loglio italico, inizio emissione bottoni fiorali per l’erba medica), mentre per le colture che producono granella occorre optare per stadi più avanzati, quando la formazione delle cariossidi è completa e l’accumulo di amido (mais, sorgo) o di proteina (soia, pisello proteico) hanno raggiunto i massimi livelli ottenibili.

Uno dei punti cardine per garantire l’efficienza del sistema foraggero è quello di abbinare la raccolta allo stadio di sviluppo opportuno a un metodo di conservazione in grado di minimizzare le perdite di sostanza secca, energia e proteina, capace di garantire l’arrivo alla bocca dell’animale di un alimento con una concentrazione energetica e proteica il più simile possibile a quella che le colture avevano al momento della raccolta.

Più volte è stato ribadito che l’insilamento nelle sue diverse tipologie (dalla trincea alle rotoballe, dagli insilati semi-umidi ai fieni-silo) è sicuramente una tecnica in grado di garantire quest’efficienza.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Stalle da Latte  n. 3/2022
Come coltivare latte sui terreni aziendali
di E. Tabacco, F. Ferrero, S. Pasinato, G. Rolando, G. Borreani, L. Comino, A. Revello Chion, L. Bertola, D. Giaccone
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