Conoscere la fisiologia dell’asciutta per saper gestire al meglio la stalla

Per meglio comprendere l’importanza di una corretta gestione della mammella durante la fase di asciutta bisogna considerare che in questo periodo nell’animale avvengono notevoli cambiamenti dell’immunità della ghiandola.

Infatti, alla messa in asciutta aumentano in modo notevole i leucociti polimorfonucleati neutrofili (PMN) che hanno la funzione di inglobare e distruggere i batteri eventualmente presenti nella mammella. Una volta conclusa questa prima fase, che nel complesso dura non più di 2 settimane, intervengono i macrofagi, che hanno il compito di pulire la mammella dai detriti cellulari, favorendo così il successivo rinnovamento dell’epitelio mammario.

Se le precedenti fasi vengono svolte in modo corretto fino a circa 2 settimane prima del parto non si osservano in genere particolari problemi di natura sanitaria, anzi in questa fase la mammella è particolarmente refrattaria alle infezioni.

I rischi aumentano in prossimità del parto

In questa fase possono aumentare i problemi per le modificazioni che avvengono a livello di epitelio secernente; esso infatti passa dalla produzione di sostanze antibatteriche, tipiche della fase di asciutta, alla produzione del latte in vista dell’imminente parto.

Inoltre, in questo periodo vi è un notevole cambiamento della situazione ormonale, come naturalmente avviene prima del parto. In particolare, aumenta il cortisolo, un ormone fondamentale per l’espulsione del feto, che, come tutti i corticosteroidi, ha un effetto negativo sulle difese immunitarie, riducendo la capacità dei PMN di muoversi verso la sede di un’eventuale infezione batterica.

Se avviene un’alterazione del processo di migrazione dei PMN o della loro capacità di eliminare i batteri, la probabilità di avere infezioni mammarie e mastiti cliniche aumenta notevolmente. A questa naturale riduzione dell’attività cellulare, inoltre, si associa una riduzione della produzione di interferone (IFN-γ) e di IL-2, mentre aumentano le altre citochine IL-4, IL-5, IL-6 e IL-10.

In particolare, la ridotta produzione di interferone ha un effetto deleterio sulla capacità microbicida delle cellule fagocitarie. Il fenomeno, sinteticamente definito come immunodepressione, è inevitabile poiché è fisiologico, ma non è detto che l’ampiezza della riduzione sia elevata, persistente e simile in tutti gli allevamenti.

Come dimostrato in specifiche ricerche, entità e durata dello stato di immunodepressione sono varabili da allevamento ad allevamento in relazione anche ai livelli più o meno adeguati di gestione complessiva, così come quelli di natura igienica e nutrizionale.

Va inoltre sottolineato che il ruolo svolto dall’esposizione ai batteri nel periparto per la presenza di lettiere sporche, di sovraffollamento in sala parto e di procedure di mungitura inadeguate sono un fattore di rischio ben più grande rispetto a quello rappresentato da una riduzione delle difese immunitarie al parto.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Stalle da Latte  n. 4/2022
Asciutta: bisogna investire nell’assetto immunitario della vacca
di A. Zecconi
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