Viticoltura bio: più attenzione alla gestione agronomica

vigneto in biologico Viticoltura biologica

Il consolidato successo per le uve e per i vini biologici, attestato anche dal crescente spazio che essi si ricavano sugli scaffali della grande distribuzione, richiede un approccio sempre più tecnico e scientifico sia per la progettazione di un nuovo impianto, sia per la gestione del vigneto in produzione. Il tutto, come sempre, condito da tanta passione e da motivazioni anche etiche che hanno contraddistinto i pioneri di questa scelta viticola.
Alle tante incombenze burocratiche necessarie per la costituzione di un nuovo vigneto (da vino in particolare), per il bio vanno aggiunte le scadenze riguardanti la richiesta di conversione e, dopo 3 anni, il riconoscimento e il mantenimento della certificazione biologica.
Sono oneri importanti, in parte sostenuti dal contributo pubblico previsto nei vari Psr regionali, ma che richiedono la massima attenzione al fine di evitare errori, anche per le semplici trascrizioni di pratiche agronomiche, che potrebbero risultare dannose a livello economico.
Ciò premesso, per il futuro vigneto bio, due sono le condizioni agronomiche veramente importanti e cioè: la realtà pedoclimatica del terreno prescelto e la combinazione d’innesto, ma soprattutto, la varietà da adottare, pur nel rispetto dell’eventuale denominazione o delle finalità produttive previste.
Infatti, visto il successo commerciale delle produzioni bio è forte la tentazione di produrle ovunque, ma di fronte alle crescenti limitazioni riguardanti soprattutto la difesa antiparassitaria, col rame in particolare, vanno considerate le tante difficoltà per ottenere produzioni qualificate in ambienti poco arieggiati, con terreni molto fertili e con modelli viticoli espansi e ombreggianti.
È molto meno impegnativo, infatti, coltivare un vigneto bio sulle colline ben esposte e arieggiate, oppure in pianure con terreni magri e senza ristagno di umidità, rispetto ai terreni pianeggianti, più fertili, magari di fondovalle, quindi mancanti di arieggiamento e soggetti a elevata umidità dell’aria e a prolungate bagnature della vegetazione.
Nell’ambito della scelta varietale, nel limite del possibile, devono essere preferite le varietà più rustiche e, nel loro ambito, i cloni meno suscettibili alle malattie, grazie a grappoli più spargoli e alla vigoria più contenuta. Non da ultimo, un’attenzione particolare meritano le cosiddette varietà resistenti, cioè la ventina di nuove varietà da vino e alcune di uva da tavola, iscritte negli ultimi anni al Registro nazionale delle varietà e ottenute da vari Istituti di ricerca tedeschi, ungheresi, moldavi, francesi e italiani, per mezzo di diverse generazioni di incroci tra varietà di Vitis vinifera e specie di viti americane e asiatiche resistenti a peronospora e oidio.
Richiedendo in media 3-4 interventi antiparassitari, essi possono concorrere a una produzione biologica potenziata, nel pieno rispetto delle basse dosi di rame a cui siamo destinati.

Gestione agronomica
Per la corretta gestione dei vigneti in produzione condotti col metodo biologico, la parola d’ordine è «prevenzione», intesa come la massima ricerca per un perfetto equilibrio vegeto-produttivo, un buon arieggiamento fogliare e, soprattutto, dei grappoli, un minor compattamento degli stessi e, in definitiva, tutte le scelte volte a evitare le condizioni che favoriscano gli attacchi di funghi, insetti e acari, oltre ai danni da avversità climatiche. Vediamo in ordine cronologico cosa fare.

Potatura secca equilibrata
Potare in sintonia con la vigoria delle viti tenendo in considerazione le dimensioni dei tralci al momento del taglio, per evitare potature ricche su piante deboli e, soprattutto, potature povere, cioè con limitata carica di gemme su piante molto vigorose.
Inoltre, all’atto dell’eventuale legatura, è necessario ricercare un’equidistanza tra i vari capi a frutto per prevenire addossamenti tra i germogli che si origineranno.

Concimazione
L’agricoltura biologica si fonda sul mantenimento e il potenziamento della vita e della fertilità del terreno, puntando a migliorare la nutrizione delle piante soprattutto attraverso l’attività biologica dell’ecosistema suolo.
Pertanto, l’agricoltore biologico, con l’adozione di tecniche di lavorazione del terreno e di pratiche colturali adeguate, mira a incrementarne o a mantenerne un adeguato contenuto di sostanza organica.
Per questo, vanno impiegati concimi di origine naturale o di origine organica, preferibilmente compostati, e vanno adottati avvicendamenti colturali e sovesci, con almeno due specie differenti, una delle quali deve essere una leguminosa, la quale deve restare in campo per almeno 70 giorni.
I fertilizzanti utilizzabili sono indicati nell’allegato al regolamento CE 889/2008 e aggiornati con gli allegati dei vari vademecum regionali.
In caso di dubbi, il modo più semplice per sapere se il fertilizzante sia adatto, consiste nell’accertarsi che sull’imballaggio del prodotto sia riportata l’indicazione «consentito in agricoltura biologica».

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 11/2019
Viticoltura bio: più attenzione alla gestione agronomica
di E. Corazzina
L’articolo completo è disponibile anche su Rivista Digitale