Vinificazione in zone aride: gli aspetti da considerare

Per definire enologicamente la viticoltura in zone aride dobbiamo rifarci al concetto di maturazione ideale. L’uva è perfetta quando la sua maturazione fisiologica coincide con la maturazione industriale, determinata in base al rapporto fra la concentrazione degli zuccheri e l’acidità totale.

I mosti provenienti da zone aride sono caratterizzati da un’elevata concentrazione zuccherina, una bassa acidità, una limitata disponibilità di sostanze azotate e soprattutto da un’estrema facilità ad ossidarsi. Queste caratteristiche sono conseguenza dell’importanza del contributo dei fenomeni traspirativi alla maturazione dei grappoli. Nei periodi afosi si osserva un aumento delle concentrazioni di zuccheri, acido tartarico e potassio; accompagnati dal consumo dell’acido malico. Contemporaneamente il pH dei mosti diventa più alto, più sfavorevole, perché il potere acidificante dell’acido tartarico è minore della forza neutralizzante del potassio.

L’acidità

L’attuale legislazione europea consente l’impiego di diversi acidi (tartarico, malico, lattico, citrico), che sono stati catalogati come additivi, e ha autorizzato l’uso delle resine a scambio ionico (risoluzione 443-2012) e dell’elettrodialisi (risoluzione 361/2010) anche per correggere l’acidità e il pH dei vini. La tecnica additiva ha il pregio di apportare modifiche immediate, mentre le attrezzature richiedono un passaggio elaborativo, limitato dalla sua potenzialità oraria. In teoria è ammesso anche l’impiego di resine direttamente nella cuve del vino, purché vengano rimosse al termine del trattamento.

La microbiologia

Nelle zone aride le temperature di vendemmia sono spesso elevate e congiuntamente alla gradazione alcolica rendono più difficoltoso il corretto decorso fermentativo. I lieviti Saccharomyces cerevisiae si sviluppano con difficoltà quando il potere solvente dell’etanolo è incrementato dall’elevato grado alcolico e dalle alte temperature di fermentazione. In queste condizioni è quasi sistematico incappare in rallentamenti o arresti fermentativi, che permettono a batteri e Brettanomyces di svilupparsi in presenza di zuccheri, rilasciando acidità volatile, odori anomali e ammine biogene. Ogni accorgimento che permetta di smaltire facilmente calorie, dai delestage alle svinature precoci è un toccasana per le finanze aziendali e, in assenza di alternative, per la qualità stessa del vino.

La gestione dei tannini

L’attesa della maturazione fisiologica ideale delle uve permette di evitare tannini immaturi, erbacei, e una bassa disponibilità di materia colorante. Tuttavia la disidratazione delle uve porta ad ottenere mosti con un’elevata concentrazione di tannini, che impartiscono un’astringenza verticale ai vini giovani e necessitano di affinamenti impegnativi. In base al vitigno si possono limitare i rimontaggi e avviare importanti ossigenazioni precoci. In alternativa, dove ammesso, si ricorre all’utilizzo precoce di frammenti di legno, eventualmente con un basso grado di tostatura, per guidare l’evoluzione dei tannini sin dalle prime fasi della fermentazione.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 2/2021
Consigli per la vinificazione di mosti da zone aride
di M. De Paola
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