L’importanza della pressatura in vinificazione

Pressa vinificazione

La pressatura delle uve, nella vinificazione in bianco, o delle vinacce, per i vini rossi, è un’operazione enologica estremamente interessante, dato che permette di separare fisicamente porzioni di prodotto di qualità differente. Con l’impiego oculato delle presse è possibile estrarre dalle uve tutto ciò che è essenziale per il proprio stile di vino, senza eccedere o trasferire composti indesiderati.

La differenza principale fra le due tipologie di vinificazione più comuni risiede proprio nel modo di organizzare la pressatura.
Nella vinificazione in rosso, indipendentemente dal colore delle uve, la separazione del vino avviene durante o dopo la fermentazione.

Al contrario, nella produzione tradizionale dei vini bianchi le uve vengono inviate alla pressa direttamente o dopo una breve macerazione che non inneschi l’avvio della fermentazione. Lo scenario organizzativo, chimico e fisico delle due tecnologie è completamente diverso.

Pressare mosti o torchiare vinacce

Dal punto di vista tecnologico/organizzativo, l’estrazione del mosto o del vino dalle parti solide delle bacche è un’attività non semplice.

Per i vini bianchi si inserisce come operazione in linea fra due fasi discontinue: la raccolta e lo stoccaggio di chiarifica. Riveste pertanto lo sgradevole ruolo di passaggio limitante fra la grande corsa della vendemmia e l’indispensabile regolarità dei lavori di cantina.

Per i vini rossi la pressatura non è così vincolante dal punto di vista organizzativo, ma rimane comunque l’attività di cantina che movimenta la maggiore quantità di materiale solido, richiedendo perciò attrezzature dedicate. Intoppi o rallentamenti nella fase di pressatura possono compromettere anche gravemente la qualità dei futuri vini.

Le trasformazioni chimiche indotte dalla pressatura sono uno degli argomenti più dibattuti dell’enologia attuale. Quando si pressano le uve fresche gli enzimi ossidanti dei frutti hanno la massima attività e, com’è ovvio che sia, sfruttano l’ossigeno per ossidare i polifenoli, nel vano tentativo di formare una cicatrice che richiuda e salvi la bacca. Con una logica non molto differente da quella che avviene nel nostro corpo dopo una ferita.

Dal punto di vista sensoriale ciò comporta una drastica diminuzione della complessità e dell’intensità aromatica dei futuri vini, dato che i precursori delle sfumature che ricordano il pompelmo, le bacche di bosso, il frutto della passione, le erbe aromatiche (composti tiolici) vengono legati e sequestrati dai tannini ossidati (chinoni).

Quando invece si torchiano le vinacce fermentate, gli enzimi ossidanti delle uve sono già inattivi e l’ossigeno che si diffonde durante la pressatura può diventare un alleato, a meno che non sia presente la laccasi, enzima secreto dalla muffa grigia (Botrytis cinerea).
Nei vini l’ossigeno è consumato per via chimica, inglobato attraverso una serie di ossidazioni successive, che coinvolgono anche l’etanolo e portano alla maturazione dei tannini, spesso troppo aggressivi nei vini giovani.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 2/2020
Vademecum per scegliere la pressa ideale 
di Mauro De Paola
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