Gli aumenti dei costi mettono a rischio le medie imprese vinicole

Come la maggior parte delle filiere agro-alimentari, anche quella vitivinicola si trova a fronteggiare, da oltre un anno, un repentino aumento dei costi di produzione che segue un lungo periodo di sostanziale stabilità. L’indice Ismea dei costi sostenuti dalle imprese (base 2010=100), difatti, evidenziava un valore di poco superiore a 110 per quasi tutte le principali filiere agricole italiane nel mese di agosto del 2021, mentre ad ottobre 2022 l’indice complessivo per le coltivazioni agricole è schizzato a quota 143, mentre quello relativo al vino si è fermato a 136, un valore in linea con gli incrementi registrati nel comparto frutticolo e più basso rispetto a cereali, ortaggi ed olio.

Gli aumenti medi

L’aumento medio della filiera vino nel periodo considerato, dunque, si aggira attorno al 20% secondo gli indicatori calcolati da Ismea, ma in concreto, essendo la realtà del comparto vitivinicolo molto variegata, si possono presentare situazioni ben diversificate. Numerosi operatori del settore, difatti, individuano nel 30% il valore medio degli aumenti registrati nell’ultimo anno. La quantificazione della crescita dei costi è resa difficoltosa sia dalle condizioni estremamente diversificate in cui operano le imprese della filiera, sia per il continuo evolversi delle quotazioni energetiche e delle principali materie prime.

Tra i fattori di variabilità, vi è in primo luogo la produzione, da parte delle cantine, di solo vino sfuso o anche confezionato e, in quest’ultimo caso, se in bottiglia o altra tipologia di confezione. Rilevante è poi l’impatto di eventuali impianti fotovoltaici sulle coperture delle cantine, l’efficientamento delle macchine e delle strutture enologiche e, infine, l’ottimale impiego delle strutture stesse.

Un ruolo di grande rilievo nella determinazione degli aumenti di costo è ascrivibile alla crescita dei costi dell’energia, più che triplicata negli ultimi mesi rispetto alle quotazioni storiche che, da lungo tempo, si mantenevano su livelli piuttosto bassi. La filiera vitivinicola, non essendo eccessivamente energivora, registra in realtà un’incidenza dei costi energetici abbastanza limitata, stimabile nella maggior parte dei casi fra il 5 e il 15% dei costi complessivi, a seconda delle caratteristiche strutturali, ma in ogni caso l’entità dell’incremento registrato nell’ultimo anno è tale da impattare comunque in modo considerevole.

Le materie prime

L’aumento mondiale delle quotazioni dell’energia, tuttavia, si riflette anche in una crescita parallela e, in certi momenti, incontrollata dei costi delle principali materie prime impiegate nei processi di imbottigliamento del vino, quali il vetro, il sughero e il cartone. A titolo di esempio, dal confronto con stakeholder di rilievo del comparto, si evidenzia, nell’ultimo periodo, una crescita media del 30-40% circa per le bottiglie, del 20% per i tappi in sughero (fino al 40% per quelli in altri materiali) e del 35-45% circa per etichette e cartoni per imballaggio.

Non vanno, naturalmente, dimenticati i costi della logistica, anche in questo caso molto variabili a seconda dell’assetto commerciale di ogni cantina, per i quali si possono stimare aumenti oscillanti attorno al 25% per il trasposto su gomma e addirittura del 400% e oltre per il trasporto marittimo.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su Vite&Vino n. 1/2023
Gli aumenti dei costi mettono a rischio le medie imprese
di Alessandro Palmieri
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