Consumi di vino in Italia: su gli spumanti, giù i vini rossi

vino rosso vino bianco Foto: © grey - stock.adobe.com

I vini del futuro? Sostenibili e a bassa gradazione, oltre che di chiara riconoscibilità rispetto a un territorio o a un vitigno autoctono di provenienza. Così hanno risposto i consumatori italiani all’ultima indagine Wine Monitor su quali sarebbero stati, nei prossimi anni, i vini di maggior successo nel mercato.

Dato che si tratta di rilevazioni che realizziamo periodicamente, sono andato a recuperare i risultati di un’indagine analoga svolta prima della pandemia (2019) e rispetto alle risposte fornite allora, quello che è cambiato sostanzialmente nella percezione del consumatore italiano di vino, è la ricerca di vini più leggeri, meno strutturati e di facile beva. Tanto che, anche se non figurano tra le prime risposte, rientrano tra i trend di successo futuro pure i vini dealcolati, identificati come il «demonio» dai produttori più tradizionalisti ma considerati – anche a mio parere – un’opportunità di mercato per quelli dalla vista lunga.

Se decliniamo questi desiderata dei consumatori nella realtà delle vendite di vino, allora ci viene più facile comprendere perché nel giro di un decennio, in Italia, gli spumanti rappresentino la categoria che è cresciuta di più (è passata dal 18% al 25% delle vendite totali a valore) mentre, all’opposto, i rossi fermi hanno subito un tracollo dal 38 al 32%.

Nel mezzo di questo terremoto sono rimasti in equilibrio i bianchi e i rosè, tipologie che fanno del nostro Paese – in particolare per quanto riguarda i primi – il leader mondiale in termini di export (a volume).

Ovviamente, dietro alla diminuzione del consumo di vini rossi collegata alla gradazione alcolica ci sono diverse motivazioni. Ad iniziare dalla variabile demografica, che vede i baby boomers ridursi in Italia per ragioni fisiologiche (quelli che, in altre parole, consumano vini quotidianamente e durante i pasti, privilegiando – guarda caso – i vini rossi) e i più giovani avvicinarsi al consumo di vino attraverso gli spumanti, i bianchi e i rosè d’aperitivo.

Poi, a seguire ma non meno importante, c’è la variabile salutistica. Una maggior attenzione alla salute che si registra trasversalmente senza distinzione d’età e che porta i consumatori a guardare più attentamente e tra le altre cose, il grado alcolico.

Infine, la variabile climatica. Con estati che si prolungano fino a ottobre con temperature superiori ai trenta gradi, diventa più attrattivo un vino leggero e conservato in frigorifero rispetto a uno strutturato e servito a temperatura ambiente.

Se questo è lo scenario che si prospetta per i consumi di vino dei prossimi anni, c’è da dire che il nostro Paese ha in dotazione buone carte che può giocarsi al tavolo della competizione internazionale.  Rispetto a una produzione nazionale che negli ultimi tre anni è risultata vicina ai 50 milioni di ettolitri (al netto della prossima, prevista sotto i 44 milioni), quasi il 60% fa riferimento a vini bianchi (fermi ma anche frizzanti e spumanti). Rispetto a tale incidenza media, alcune regioni si posizionano al di sopra con «pesi» superiori al 70% della produzione regionale come nel caso di Lazio e Liguria e addirittura all’80% per quanto riguarda Friuli Venezia Giulia, Veneto e provincia autonoma di Trento.

Denis Pantini
Wine Monitor

 

Tratto dall’articolo in pubblicazione su Vite&Vino n. 5/2023
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