Il quadro produttivo della fragola

Secondo i dati Fao, la fragola è coltivata su circa 370.000 ha a livello mondiale per una produzione che, nel 2018, ha superato 8,3 milioni di tonnellate. Le superfici investite appaiono sostanzialmente stabili, dopo anni di forte crescita, mentre il volume di offerta prosegue il suo trend positivo, con quasi 800.000 t in più rispetto a 5 anni prima. Sono soprattutto Cina e Stati Uniti a concentrare la maggior parte dell’offerta, pari complessivamente al 50% del totale. Nei primi 5 produttori mondiali si collocano anche Messico, Turchia ed Egitto.

L’arena competitiva di riferimento per la produzione italiana, tuttavia, è rappresentata dall’Unione europea, dove la dinamica degli investimenti registra da tempo una lieve, ma costante, flessione con circa 105.000 ha attualmente coltivati. L’offerta, invece, è diminuita di circa 100.000 t nel corso dell’ultimo quinquennio, ma nelle ultime campagne si è comunque mantenuta costantemente attorno a 1,3 milioni di tonnellate. Il quadro che si delinea è quello di un comparto in fase piuttosto stagnante, che perde progressivamente operatori, assistendo tuttavia a un progressivo miglioramento della produttività di quelli che rimangono.

Il quadro produttivo italiano

Secondo i dati di Cso Italy, nel 2020 le superfici specializzate dedicate alla fragola sono state pari a 3.646 ha, con un calo del 4% circa rispetto al 2019. Si rileva, pertanto, una lieve diminuzione dopo un periodo di crescita che aveva portato a guadagnare oltre 250 ha nel quadriennio 2016-2019. L’83% delle superfici investite sono in coltura protetta e solamente il 17% resiste ormai in pieno campo. Circa 250 ha sono coltivati con tecnica biologica.

La fragolicoltura italiana è da tempo in fase di concentrazione nelle regioni meridionali e anche il 2020 conferma questo trend con una diminuzione del 7% nelle aree settentrionali e del 6% in quelle meridionali. Attualmente, Basilicata e Campania raggruppano attorno al 50% delle superfici complessive, mentre il complesso delle 4 maggiori regioni del Nord supera di poco il 22%.

Nel Nord Italia, sono soprattutto Veneto ed Emilia-Romagna a evidenziare le maggiori sofferenze, con una perdita del 20% delle superfici coltivate nell’ultimo quinquennio, mentre Piemonte e Trentino-Alto Adige evidenziano maggiore stabilità. Ciò è in parte un riflesso delle difficoltà che si riscontrano nelle aree produttive i cui raccolti si concentrano soprattutto nelle fasi centrali della campagna, mentre chi è in grado di arrivare sul mercato nelle fasi più estreme, precoci o tardive, riesce ancora a opporre una più tenace resistenza alla concorrenza estera, rappresentata ovviamente in larga parte dalla Spagna.

Nelle aree produttive settentrionali, la coltivazione della fragola è ormai diffusa soprattutto in aziende diretto coltivatrici di piccole o medio-piccole dimensioni, a differenza del Sud Italia dove si riscontrano anche centri produttivi di maggiore rilievo dimensionale. Rispetto agli altri Paesi, in cui la fragolicoltura si concentra in larga parte in una sola area, l’Italia mantiene un’apprezzabile diversificazione produttiva e, grazie a condizioni climatiche piuttosto differenziate tra le regioni produttrici, anche un panorama varietale piuttosto articolato.

In particolare, si assiste a una progressiva specializzazione di ogni area in determinate cultivar, come per la Basilicata, dove l’80% degli investimenti sono dedicati a Sabrosa, o la Campania con il 67% delle superfici suddivise fra Sabrina e Melissa. Anche la Sicilia è specializzata in una sola varietà, Florida Fortuna, idonea alle produzioni molto precoci. Nelle regioni del Nord Italia, al contrario, il grado di specializzazione varietale è inferiore con numerose varietà che compongono il quadro produttivo.
La produzione annua è attestata attorno a 130.000 t, con oscillazioni da 125.000 fino a quasi 150.000 t.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 31/2020
Fragola: varietà precoci e tardive per restare competitivi
di A. Palmieri
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