Del melograno non si butta niente: semi, buccia, arilli

Negli ultimi anni in Italia, si è assistito a un rilevante incremento delle superfici coltivate a melograno (Punica granatum), una specie del Mediterraneo resistente alla siccità, salinità (seconda solo alla palma da dattero), alla clorosi ferrica.

Soprattutto in Sicilia questo frutto, considerato fino a poco tempo fa di nicchia, è divenuto una realtà produttiva con più di 500 ettari investiti tra le provincie di Trapani, Agrigento, Ragusa e Catania. La coltivazione si estende in maniera significativa anche in Puglia, Calabria, Campagna e Lazio ed è in espansione anche in regioni più a nord come la Toscana, l’Emila Romagna, Marche e Veneto.

Produzione commercializzazione

Oggi le superfici coltivate a melograno in Italia sono più di 1.500 ettari soprattutto in impianti specializzati, con un incremento di quelli a regime biologico, e l’impiego preponderante di varietà selezionate (come Wonderful,più tardiva adatta per il centro sud e Acco, più precoce, soprattutto adatta negli areali più a nord). Il prodotto viene commercializzato per il 70% in Italia e per il 30% esportato nel nord Europa. L’incremento produttivo, registrato in soli 10 anni (nel 2010 il melograno non era presente nelle statistiche italiane date le produzione a livello familiare) è una conseguenza di diversi fattori, tra cui la messa a punto di tecniche di gestione innovative e la divulgazione della valenza nutrizionale e nutraceutica del frutto, che ne ha incrementato il consumo a livello globale.

L’idea che il melograno sia una pianta rustica, quindi facile da coltivare con la possibilità di produzioni elevate (circa 30-40 t/ha) e ricavi remunerativi (1,5-2 euro kg di prodotto) sono ulteriori fattori che hanno contributo alla diffusione della sua coltivazione. Aspettative di reddito ovviamente possibili solo con impianti intensivi che, sull’esperienza israeliana, sono stati importati circa 10 anni fa anche in Italia. Nonostante l’attitudine di portamento a cespuglio, il modello israeliano prevede piante (impiantate in genere con pane di terra in primavera o in autunno) forzate su strutture di sostegno a Y trasversale in densità variabile (da 6×3,5m; 6×3 a 5×3 fino a 5×2).

La pianta (a monocaule) viene sostenuta da pali di sostegno anche inizialmente. L’individuazione dei germogli portanti, che saranno legati ai fili orizzontali, implica che la potatura invernale venga affiancata da una potatura primaverile estiva per rimuovere i germogli in eccesso; la potatura verde quindi è una pratica sempre necessaria per limitare la caratteristica della specie a produrre succhioni vigorosi, solo in tal modo è possibile mantenere aperta la struttura produttiva, assicurando una adeguata penetrazione della luce. Va inoltre ricordato che questa specie fruttifica nella parte terminale dei rami dell’anno e quindi la cimatura ha un effetto limitante la produzione. Il melograno comunque è una specie molto plastica, nuove forme di allevamento come quella a siepe che sembrerebbe più adatta alla fisiologia della specie, sono in corso di valutazione, i primi risultati indicano una riduzione dei costi colturali, ma anche una minore produttività. Il melograno intensivo necessita in genere di una baulatura che consiste nel riportare il terreno a livello del colletto della pianta, in tal modo si riducono i danni da eccessi idrici causati da piogge di forte intensità.

Uso degli scarti

Il recupero degli scarti può essere una grande spinta per sopperire ai costi di produzione elevati, poiché i prodotti, ottenuti da questi processi secondari, acquistano un alto valore commerciale. Il recupero post spremitura, ad esempio, rappresenta la base di partenza per un cospicuo numero di prodotti realizzabili. Dall’infusione in acqua degli arilli si possono ottenere acque ricche di minerali al gusto di melograno, tramite processi di essiccazione invece si può recuperare l’acqua contenuta negli scarti per la formazione di acque funzionali. Nel ramo dell’eco-cosmesi i semi posso essere essiccati e tramite processo di (esocarpo)spremitura a freddo si può ottenere un olio ricco di sostanze nutraceutiche, tra cui vi è un’alta titolazione in acido ellagico, un potente antiossidante con funzioni lenitive, antinfiammatorie e rigeneranti, derivato dall’idrolisi dei tannini presenti in quantità.

Nel campo della nutraceutica merita molta attenzione la farina di semi essiccati e successivamente triturati, ma anche la polvere di melograno ottenuta dalla triturazione finissima del frutto intero oppure dallo scarto post spremitura. Questa polvere porta con se anche la dolcezza legata al frutto oltre ad essere un concentrato di antiossidanti tra cui la vitamina C. Le bucce (esocarpo) e le membrane interne, inoltre, possono essere vendute come prodotti semilavorati per la produzione di fermentati o possono essere utilizzati per l’estrazione di tannini.

Recenti sperimentazioni hanno dimostrato come dai sottoprodotti della lavorazione dei frutti sia possibile estrarre molecole bioattive, aventi azione biocida, in grado di contrastare lo sviluppo di malattie fungine su specie vegetali di interesse agricolo. Tutte queste applicazioni rientrano in una visione aziendale che mira ad avviare ed implementare processi di lavorazione che siano basati su modelli di bio-economia circolare.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 25/2021
Semi, buccia, arilli di melograno: non si butta niente
di L. Bacchetta, G. Platamone, R. Balducchi
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