Biostimolanti alla prova per l’efficienza d’uso dell’azoto

Panoramica del campo prova di mais del progetto INBIOS

Da diversi anni, i chimici, gli agronomi e i microbiologi della Facoltà di scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore sono impegnati in prima linea nella sperimentazione sui biostimolanti, questa esperienza pluriennale è stata possibile anche grazie al sostegno della Regione Emilia-Romagna, attraverso il progetto «INBIOS – Sviluppo di un approccio INtegrato a base di BIOStimolanti per la sostenibilità delle produzioni agrarie» (Psr 2014-2020 – Misura 16.1.01 – Focus Area 4B, Domanda di sostegno n. 5150325).

Il programma di ricerca, nel suo complesso, studia la possibilità di garantire un’adeguata produzione pur riducendo gli apporti di azoto, attraverso l’uso di biostimolanti e utilizzando il mais come coltura modello ad alte esigenze azotate.

Primo anno di sperimentazione su mais

Il primo anno di sperimentazione ha indicato come sia possibile ridurre l’apporto di azoto al mais senza ridurne la produttività, usando una formulazione a base di una combinazione di funghi micorrizici (Rhizoglomus irregulare BEG72 e Funneliformis mosseae BEG234, 700 sp/g ciascuno, Agrotecnologias naturales SL) per la concia del seme, insieme a un idrolizzato proteico (2,5 L/ha) in fase di pre-fioritura (tesi T2). Una seconda tesi ha previsto l’utilizzo di un formulato a base di batteri rizosferici PGPR (Bacillus megaterium BM77 e BM06, 2 L/ha, Agrotecnologias naturales SL) e lo stesso idrolizzato proteico (tesi T3).

Entrambe le tesi sono state confrontate con un controllo senza biostimolanti come testimone. Le tre tesi, poi, sono state condotte, in maniera differenziale, con apporto ottimale di azoto (stimato con il metodo del bilancio dell’azoto) e con il 70% dell’ottimale (nella scia degli obiettivi della strategia «Farm to Fork», proposta dalla Commissione europea).

La prova di campo è stata realizzata allestendo un disegno sperimentale a Split-Plot, con due fattori, e quattro repliche (blocchi). Sebbene sia evidente che occorrano più stagioni di sperimentazione, per considerare anche l’effetto delle condizioni stagionali, i risultati sono incoraggianti.

L’effetto osservato è la conseguenza di una migliore efficienza d’uso dell’azoto, ma solo quando gli input sono stati ridotti del 30% (grafico 1), condizioni che hanno comunque mantenuto la produttività convenzionale.

Questo significa appunto poter produrre con minore apporto di azoto, migliorando la sostenibilità dei sistemi agrari senza ridurre la produttività. L’attività di ricerca è stata quindi approfondita per comprendere i meccanismi alla base di questo miglior assorbimento dell’azoto, utilizzando tecniche avanzate di genomica e metabolomica.

A tal riguardo, è stato osservato come il trattamento al seme con i biostimolanti abbia indotto una significativa modulazione del metabolismo della radice di mais, visibile in fase di fioritura, ovvero settimane dopo i trattamenti.

La modulazione dei processi biochimici della radice ha, inoltre, mostrato una significativa correlazione con la popolazione di funghi e batteri della rizosfera, il che indica come i trattamenti abbiano un impatto sulla biodiversità di questa porzione di suolo, critica per i servizi ecosistemici che garantisce, collegati sia ad aspetti produttivi che qualitativi delle produzioni.
In altre parole, i trattamenti hanno evidenziato un effetto coordinato del trattamento sui processi fisiologici della radice e sulla popolazione microbica che interagisce con l’apparato radicale.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 32/2021
Biostimolanti alla prova per l’efficienza d’uso dell’azoto
di L. Lucini, A. Fiorini, E. Puglisi, V. Tabaglio
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