Agrofarmaci tra ricerca e corretta informazione

Intervista a Rita Bradascio di Corteva Agriscience

Corteva Agriscience logoAgrofarmaco, prodotto fitosanitario, fitofarmaco, pesticida sono alcune delle parole comunemente impiegate per indicare i prodotti per la difesa delle colture. Si tratta a tutti gli effetti di sinonimi che, però, hanno assunto, nel corso degli anni, una precisa valenza ideologica. Se da un lato, infatti, parole come fitofarmaco o agrofarmaco hanno un significato ben preciso, indicando prodotti per la cura delle piante, il termine pesticida ha assunto, soprattutto nel mondo della stampa generalista, una connotazione negativa identificando, nell’immaginario comune, sostanze pericolose per la salute umana e l’ambiente (nonostante la derivazione dal termine inglese pesticide dove pest = parassita).

Per uscire da questo scontro terminologico- ideologico occorre lavorare sulla corretta informazione per cercare di far comprendere un settore che, nel corso dell’ultimo decennio, è stato soggetto a un profondo rinnovamento legislativo finalizzato a una maggiore sicurezza per operatore, consumatore e ambiente.

Un aiuto fondamentale nelle attività di informazione può arrivare dai regulatory della aziende agrofarmaceutiche, figure che occupandosi del processo di registrazione dei prodotti fitosanitari sono in grado di trasferire le conoscenze sia all’interno sia all’esterno del mondo agricolo.

Per questo motivo abbiamo incontrato Rita Bradascio regulatory affairs leader di Corteva Italia con la quale abbiamo cercato di analizzare le sfide che il settore agrochimico sta affrontando nel Terzo millennio, partendo proprio dalle difficoltà della comunicazione.

Dott.ssa Bradascio, perché il vostro ruolo di regulatory sta diventando strategico anche nella fase di informazione?

In agricoltura, oggi, il settore della difesa fitosanitaria è forse il più complesso e difficile da trasferire e divulgare correttamente. In Italia, a differenza di quanto avviene in altri Paesi dell’Unione europea, le autorità competenti in materia, Ministero della salute in primis, non ci hanno accompagnato nella fase di divulgazione e trasferimento, acuendo ancora di più questa situazione.

Da qui nasce l’importanza della figura del regulatory, che diventa a tutti gli effetti portavoce delle conoscenze scientifiche nello sviluppo dell’agrofarmaco, potendo intervenire su tematiche di grande attualità come ad esempio i residui, l’impatto sugli insetti impollinatori, ecc.

Ritengo non esista altra funzione in grado di spiegare correttamente, ad esempio, la differenza tra rischio e pericolo, concetti alla base del processo di autorizzazione dei prodotti fitosanitari. Ciò risulta fondamentale sia all’interno del mondo agricolo sia all’esterno.

Alla luce di queste difficoltà e in un’ottica di sostenibilità, come vede oggi la difesa fitosanitaria?

La soluzione di una problematica fitosanitaria, comprese quelle di nuova introduzione, per poter approdare a una logica di sostenibilità, deve guardare in un’ottica olistica, permettendo così di offrire all’agricoltore la soluzione migliore.

Occorre pertanto fornire degli strumenti che permettano di usare i prodotti oggi disponibili sul mercato nel modo più opportuno, conoscendo i limiti delle molecole sia di sintesi chimica, sia di origine naturale.

Corteva è una delle aziende in questo momento maggiormente impegnate nello sviluppo di soluzioni innovative. Quali sono i driver che stanno guidando la vostra ricerca?

Le aziende come Corteva oggi hanno individuato due differenti filoni di ricerca: da un lato lo sviluppo di nuove molecole, dall’altro l’individuazione di strategie in grado di mantenere in vita i prodotti esistenti.

Nel primo caso si colgono i trend nelle macroaree geografiche in termini di meccanismi d’azione, coformulanti o tipologie formulative. Questi trend diventano delle check list per scrutinare migliaia di molecole messe a disposizione da aziende di screening presenti a livello mondiale.

Una volta individuate le molecole si trasferiscono in laboratorio dove vengono effettuate le prime valutazioni di efficacia e test preliminari che permettano di escludere le grandi problematiche registrative (i cosidedetti cut-off).

In questo contesto gli agenti di biocontrollo rappresentano oggi un driver molto importante per l’industria agrofarmaceutica.

Com’è cambiato il processo registrativo con l’introduzione del regolamento 1107/2009?

Il nuovo regolamento europeo (1107/2009) allo stato attuale non ha migliorato né le tempistiche, né tantomeno i costi registritivi. Nonostante, infatti, il nuovo quadro normativo metta a disposizione meccanismi registrativi molto interessanti, come ad esempio il mutuo riconoscimento, questo strumento al momento viene sfruttato limitatamente anche alla luce della limitata fiducia esistente tra le autorità competenti dei diversi Paesi inseriti nell’area zonale. Ciò si traduce in tempi ancora troppo lunghi poter portare sul mercato un agrofarmaco.

Per quanto riguarda i costi di sviluppo, va sottolineato come debbano essere considerati non solo quelli legati alle molecole in fase di registrazione, ma anche quelli relativi ai progetti che per diversi motivi, soprattutto di natura ambientale, abortiscono.

Nel nostro Paese esiste una grande differenziazione colturale alla base del made in Italy. Quali difficoltà trovate nel processo registrativo?

Un tema caldo soprattutto per il mercato italiano è rappresentato dalle colture minori che secondo l’Unione europea rappresentano un fondamentale fattore di biodiversità nella dieta, quale ad esempio quella mediterranea.

Anche in questo caso, però, nonostante il regolamento 1107/2009 preveda procedure semplificate per favorire la registrazione anche su queste colture, ciò non accade; anzi, risulta sempre più difficile mantenere un numero sufficiente di prodotti destinati alle colture minori.

Altro tema caldo e verso il quale esiste un forte dibattito anche a livello politico è legato alle autorizzazioni in deroga per 120 giorni previste dall’articolo 53 del regolamento 1107/2009. Qual è la situazione attuale?

In Italia gli usi eccezionali sono in aumento perché in gergo «si sta raschiando il barile», ovvero le soluzioni disponibili per alcune colture sono limitate a causa della comparsa di nuove specie, di fenomeni di resistenza, di un processo di registrazione che non da risposte veloci.

A tale proposito mi piace sottolineare come il sistema italiano sia tra i pochi che anche per gli usi eccezionali dispone di linee guida scritte e richieda un supporto documentale a garanzia
della salute umana e dell’ambiente.

L’uso in deroga rappresenta pertanto uno strumento fondamentale per continuare a difendere le nostre produzioni. Ne sono esempi concreti le nostre recenti registrazioni dell’erbicida Loyant 1.0 su riso, fondamentale nella gestione delle resistenze, e dell’insetticida Exalt 2019 su diverse colture orticole.

 

Articolo di G. Armentano pubblicato su L’informatore Agrario n. 26-27/2019