Gli oltre tre milioni di tonnellate di fanghi di depurazione prodotti annualmente in Italia dal trattamento delle acque reflue possono dare un contributo fondamentale al recupero di sostanza organica dei suoli agricoli, ma normative datate e «regionalizzate» e miti da sfatare in termini di sicurezza igienico-sanitaria sono criticità ancora irrisolte.
Per fare chiarezza su questi aspetti il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari (DISTAL) dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna e Chimica Verde Bionet hanno organizzato lo scorso 17 aprile un partecipatissimo evento tra esperti, imprese, associazioni agricole e rappresentanti delle Istituzioni.
Dopo i saluti del direttore del DISTAL Giovanni Dinelli, che ha ricordato che il 75% di tutte le terre coltivate in Europa contiene meno del 2% di carbonio organico, l’evento è entrato nel vivo con le relazioni tecniche: «il valore per l’agricoltura dei fanghi di depurazione è legato, oltre ai nutrienti, soprattutto alla loro dotazione in carbonio organico – ha evidenziato Claudio Ciavatta, docente di Chimica agraria del DISTAL – senza il quale il suolo non è funzionale a livello ecosistemico, cioè non è efficiente a livello di approvvigionamento di prodotti alimentari e biomassa, di regolazione del clima, cattura e stoccaggio del carbonio, di controllo dell’erosione, di regolazione della qualità dell’acqua, di protezione e mitigazione dei fenomeni idrologici estremi, ecc».
Il rapporto di Utilitalia presentato da Tania Tellini ha evidenziato che in Italia i fanghi di depurazione delle acque reflue urbane sono di buona qualità e rispettano ampiamente i parametri di legge sia per quanto riguarda l’utilizzo in agricoltura sia per quanto lo smaltimento in discarica, che comunque deve essere un’opzione residuale.
Norme da perfezionare
Più relatori hanno sottolineato che va perfezionato il contesto normativo e istituzionale con norme chiare e non confliggenti tra loro e soprattutto frutto di una concertazione tra ministeri, istituzioni ed enti di ricerca. Sul fronte agronomico è emerso chiaramente come i fanghi siano in grado di esercitare un significativo effetto concimante per le colture in considerazione della presenza di azoto e fosforo (rispettivamente tra il 4 e il 5% e tra l’1,5 e il 2% sulla sostanza secca). Sono in genere presenti, seppure in rapporti inferiori (tracce), anche altri elementi utili per il metabolismo vegetale, come potassio, rame, zinco e ferro.
I risultati di una sperimentazione pluriennale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sede di Piacenza, su 24 diversi suoli (12 con almeno 10 anni di distribuzione fanghi e 12 senza mai aver ricevuto fanghi) evidenziano che solamente per rame, mercurio, piombo e zinco si sono trovati suoli trattati con fanghi con valori superiori ai terreni mai trattati, ma sempre ampiamente nella norma di legge. I livelli di concentrazione dei contaminanti organici sono risultati sempre al di sotto dei limiti legislativi, spesso inferiori al limite di determinazione del metodo analitico sia per i suoli controllo sia per quelli trattati, escludendo la presenza di particolari criticità ambientali.

Istituzioni, Associazioni e produttori a confronto
La seconda parte dell’evento ha ospitato due tavole rotonde, una dedicata al dialogo tra istituzioni e Associazioni e la seconda alla parte produttiva. I fanghi sono una materia prima di elevato interesse da parte delle aziende del settore per produrre fertilizzanti ai sensi del D.Lgs. 75/2010, soprattutto alla luce dell’aumento dei costi energetici e della difficoltà commerciali legate alle crisi geopolitiche, ma la normativa attuale è troppo complessa e determina a sua volta un costo burocratico, sia in termini di tempo, sia economico, insostenibile per la maggior parte dei produttori.
Tracciabilità e sicurezza
La parte agricola ha sollevato timori riguardanti la tracciabilità e la sicurezza igienico-sanitaria di cosa si porta in campo, ma i produttori riuniti, tra cui Herambiente, Enomondo, Cuiodepur e Centro Agricoltura Ambiente (CAA) hanno sgombrato il campo da tutti i dubbi: la rete di controlli prevista dalla vigente normativa consente di individuare la presenza di elementi e composti critici nei fanghi, sebbene sia fondamentale non ignorare eventuali criticità nuove o emergenti, tra cui le microplastiche.

Il nodo della fermentescibilità
Discorso a parte merita la questione emersa durante il convegno sulla proposta di modifica del D.Lgs. 99/1992 riguardante la stabilizzazione dei fanghi: in sostanza questi devono essere «trattati» per essere utilizzati in agricoltura e tale trattamento deve essere finalizzato a ridurre in maniera rilevante il loro potere fermentescibile e gli inconvenienti sanitari derivanti da tale utilizzazione. I fanghi di origine biologica però, per loro natura, non possono essere stabili.
Se nulla nel frattempo verrà rivisto, dal giorno seguente all’approvazione della nuova norma, che potrebbe essere immediatamente dopo il 30 giugno di quest’anno, gli attuali impianti per produzione di gessi e di compost da fanghi non potranno più ritirare la materia prima necessaria alla loro attività e circa 800.000 – 1.000.000 di t di fanghi disidratati, nel breve periodo, non avranno una collocazione.
Lorenzo Andreotti