Tra società e agricoltori visioni spesso lontane su qualità e ambiente

L’Opinione di Geremia Gios

Geremia GiosUn tempo l’obiettivo che all’agricoltura era chiesto di perseguire era ben definito e riconosciuto da tutti: garantire una produzione sufficiente a sfamare tutta la popolazione. Oggi non è più così. La tecnologia e l’innovazione hanno fatto sì che le produzioni di derrate alimentari, almeno nei Paesi sviluppati, siano superiori alle capacità di consumo. È pur vero che un numero elevato di persone soffre, a livello mondiale, di denutrizione, ma si tratta più di un problema di distribuzione del reddito che di insufficiente capacità produttiva. Quale nuovo obiettivo allora per il settore primario?

Certo è necessario produrre cibo, ma si pongono, non sempre in una gerarchia definita, una miriade di altri obiettivi quali: gli aspetti qualitativi delle derrate sotto il profilo organolettico, nutrizionale, salutistico; il tema del rapporto del processo produttivo con l’ambiente; la salvaguardia di valori culturali e tradizionali; la rivitalizzazione dello spazio rurale; la ricerca della sostenibilità; l’opportunità di perseguire una filiera corta e via di questo passo. Tutti obiettivi che un po’ sbrigativamente possono essere riassunti nei termini «qualità» e «ambiente».

Tuttavia, proprio perché i due termini qualità e ambiente sono sostanzialmente non ben definiti, quando li si richiama, parlando del futuro dell’attività agricola, è necessario prestare particolare attenzione.

Infatti, al di fuori del settore agricolo, a tali termini frequentemente vengono attribuiti significati che sono del tutto diversi da quelli che ai medesimi attribuiscono gli agricoltori.

Per fare un esempio, per un agricoltore un bel campo è costituito da un terreno arato e in cui il mais cresce uniforme in file regolari, mentre per un ambientalista se qua e là non ci sono siepi o cigli erbosi siamo in presenza di un attacco alla biodiversità. Per un agricoltore produrre mele uniformi in termini di pezzatura e colore è un obiettivo della ricerca della qualità, mentre un consumatore «verde» tenderà a preferire mele di pezzatura diversa e anche con qualche difetto, purché si garantisca che le stesse sono state ottenute senza l’uso di sostanze chimiche di sintesi. O ancora, per i residenti in montagna l’avanzare del bosco a danno degli spazi aperti rappresenta un degrado, per i turisti o per gli abitanti in città un ritorno alla «natura» da salutare positivamente.

Frequentemente il mondo agricolo, nella convinzione di conoscere perfettamente i propri prodotti, tende a sottovalutare le opinioni di altri mondi, che trova illogiche o derivanti da scarsa conoscenza dei processi produttivi o, ancora, da obiettivi francamente incomprensibili.

Il «peso» crescente della società sulla politica agricola

La crescente distanza fisica e culturale di gran parte dei consumatori dalle aree dove il cibo viene prodotto porta inevitabilmente a sottovalutare, da parte della società nel suo insieme, il punto di vista agricolo. Va osservato, però, che il punto di vista «extragricolo» diventa sempre più importante nello stabilire le «regole» più o meno formalizzate che definiscono cosa si intende per qualità e ambiente. Regole che si traducono poi in vincoli molte volte incongrui rispetto agli obiettivi che si dichiara di voler perseguire.

Certo, a volte anche il mondo agricolo, orientato al profitto immediato, trascura di utilizzare pratiche sostenibili, ma anche tecniche adeguate possono essere rese meno convenienti da regolamentazioni basate sul «politicamente corretto» invece che sulla conoscenza della realtà. Per evitare di correre tale rischio ritengo che il mondo agricolo in tutte le sue componenti (produttori, sindacati, ricercatori) debba fare uno sforzo notevole per presentare, in tempi rapidi, soluzioni ragionevoli ai molti problemi che perseguire obiettivi di qualità e ambientali comporta. In tale direzione la prossima revisione della Politica agricola comunitaria è un’occasione da non perdere.


Geremia Gios

Università di Trento