Giocare all’attacco per vincere la partita degli eco-schemi

L’Opinione di Angelo Frascarelli

Angelo FrascarelliEco-schemi sì o eco-schemi no? Una Pac verde o conservatrice?

Questo è il dilemma che si è consumato nelle istituzioni europee nella penultima settimana di ottobre, quando il Parlamento e il Consiglio dei ministri agricoli hanno votato la riforma della Pac.

L’architettura verde della Pac è stata un tema di scontro sia tra gli eurodeputati sia tra i ministri agricoli. Alla fine si è giunti a un compromesso.
Il Consiglio dei ministri agricoli ha approvato di destinare ai nuovi eco-schemi il 20% del budget dei pagamenti diretti, contro il 30% chiesto dal Parlamento europeo, e di destinare il 30% delle risorse del Secondo pilastro alle misure agro-climatico-ambientali, a fronte del 35% sollecitato dagli eurodeputati.

Il Consiglio dei ministri ha espresso un approccio più conservatore, con un’esplicita e difensivistica posizione del ministro Teresa Bellanova che ha chiesto una destinazione agli eco-schemi inferiore al 20%. Lo scontro è proseguito a livello nazionale con la componente ambientalista che ha accusato vivacemente le scelte sulla Pac di finanziare per lo più un modello di agricoltura intensiva e di allevamento industriale.

Parallelamente, la preoccupazione degli agricoltori è evidente: una Pac più verde, con nuovi pagamenti ambientali, rischia di aumentare i costi di adattamento e ridurre i benefici del sostegno al reddito. Le stesse critiche erano state espresse nel 2014 con il greening, che poi si è rivelato poco impattante per gli agricoltori italiani, se non per un eccessivo carico burocratico. Per la verità poco impattante anche sul fronte dei benefici ambientali.

Dobbiamo realmente temere gli eco-schemi? Una Pac più verde è veramente un problema per gli agricoltori italiani?

Partiamo da un’osservazione: i cittadini-consumatori manifestano una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, alla salute e agli ecosistemi.

L’agricoltura italiana ha tutto l’interesse ad assecondare le aspettative dei cittadini, per una ragione molto semplice: la produzione agricola italiana e il cibo italiano sono già percepiti come sani e sostenibili in Europa e nel mondo; siamo il primo Paese dell’UE per superficie ad agricoltura bio (15,8% contro l’8% dell’UE); molte superfici sono destinate a colture permanenti (olivo, vite, frutteti, frutta a guscio) e a prati permanenti.

Allora perché difendere la conservazione di un modello di agricoltura basato su pagamenti indifferenziati? Perché opporsi agli eco-schemi?

Verso una sostenibilità moderna

La posizione più lungimirante è abbracciare le attese dei cittadini, costruire buoni eco-schemi semplici ed efficaci, esaltare i valori ambientali già esistenti nell’agricoltura italiana: inerbimento di frutteti, vigneti, oliveti, ecc.; agricoltura biologica; gestione dei prati e pascoli permanenti; pratiche di agricoltura conservativa; gestione colturale con l’agricoltura di precisione, ecc. Ovvero una sostenibilità moderna e realistica, basata su tradizione e innovazione, non un ritorno all’agricoltura del nonno.

In questo modo la Pac è difendibile, può aspirare ad aumentare le risorse pubbliche ed è una leva commerciale dei prodotti agricoli-alimentari, non un vincolo.

Usando una metafora calcistica, la migliore difesa è l’attacco. Giocando in difesa ci s’intristisce e si rischia di perdere.

Quale vantaggio c’è nel difendere un’agricoltura che produce commodity e muore di prezzi bassi? Ogni volta che si alza l’asticella della qualità e della sostenibilità, l’Italia ha più possibilità di competere rispetto agli altri Paesi europei e mondiali.

Il «catenaccio» non funziona più! Il consumatore non vuole un’agricoltura industriale, ma moderna e sostenibile. Giocando all’attacco, con buoni eco-schemi, cresce l’autostima, migliora la squadra e si entra in sintonia con il pubblico.

Angelo Frascarelli
Università di Perugia

 

Opinione pubblicata su L’Informatore Agrario n. 38/2020