L’agricoltura rischia concretamente di non essere più una priorità per l’Unione europea.
Questo è il segnale recapitato dalla Commissione UE nelle ultime settimane e che si tradurrà, probabilmente, nella diluizione della prima e più importante politica europea, la Pac, in un Fondo unico, del cui funzionamento ancora si conosce poco ma che sembra essere la grande novità per il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’Unione.
Le conseguenze del Fondo unico
Quali potrebbero essere le conseguenze di non avere più i due capitoli di spesa (Primo e Secondo pilastro) che a partire dalla conferenza di Stresa del 1962 hanno fatto la storia della Pac?
In primo luogo, va segnalata una preoccupante prospettiva che potremmo definire di despecializzazione delle politiche per l’agricoltura, che dovrebbero essere accorpate − anche se per ora si tratta di rumors − alle politiche di coesione e forse a ulteriori capitoli di spesa, in un unico blocco di risorse, all’interno del quale gli Stati membri dovrebbero avere margini di flessibilità piuttosto ampi.
Questo significa che tutto può cambiare, inclusa la distribuzione delle risorse tra i diversi ambiti di intervento, in base alle contingenze, ai bisogni e alle scelte dei singoli Governi, spesso schiacciati più sulle emozioni e sulla «pancia» del momento, che sulla prospettiva di medio-lungo periodo.
Inevitabilmente il tema della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari, come quello della vitalità delle aree rurali, potrebbero retrocedere significativamente nell’Agenda europea, in un momento storico che, a giudizio di chi scrive, meriterebbe tutt’altro: in particolare uno sforzo deciso per alleviare tutte le dipendenze attuali e potenziali dell’UE, compresa quella dai mercati agroalimentari internazionali, che diventeranno senza dubbio più complessi nel prossimo futuro.
Come ci insegna la storia, uno dei primi terreni su cui si consumano le tensioni geopolitiche è quello dei mercati dei beni strategici: parliamo di energia, di terre rare, ma anche di acqua, fertilizzanti e cibo.
La commissione come Ponzio Pilato
In questo scenario qualche parola va spesa anche sul termine flessibilità, utilizzato dalla Commissione e in particolare dalla presidente Ursula Von der Leyen per rendere la proposta luccicante agli occhi dei capi di Stato e dell’opinione pubblica. Questa flessibilità, per come è pensata, ha un solo significato ed è deresponsabilizzazione.
La Commissione europea ha deciso che, arrivati i momenti difficili − e quello attuale è forse il più critico dal Dopoguerra − è anche arrivato il momento di lavarsene le mani e scaricare sugli Stati membri tutta o gran parte della responsabilità della situazione, compresa quella di un eventuale ulteriore taglio alle risorse della Pac, che potrebbero essere sacrificate sull’altare delle spese per il riarmo.
Parlamento e cittadini contrari al Fondo unico
Tutto questo avviene nonostante il parere contrario espresso dal Parlamento europeo, malgrado il disagio manifestato non più di qualche mese fa da migliaia di agricoltori a Bruxelles, nonostante i cittadini europei che, come testimoniano i dati dell’Eurobarometro − lo strumento demoscopico che la Commissione usa per saggiare le opinioni dei cittadini − vedono nell’agricoltura un ambito prioritario di intervento delle politiche. Una scelta in definitiva miope che non rende giustizia allo spirito con il quale è stata pensata e costruita l’UE, che ha visto nella Pac uno dei principali elementi di cementificazione e nella sicurezza degli approvvigionamenti un fattore essenziale della più ampia sicurezza dei popoli europei.
Felice Adinolfi
Università di Bologna
L’opinione pubblicata su L’Informatore Agrario 24-2025