Rete frumento tenero, 50 anni di storia che CREA-CI vuole rilanciare

Quest’anno la Rete ha compiuto 50 anni, celebrati il 30 maggio da CREA-CI con un evento a Roma presso il Ministero dell’agricoltura.
La Rete nacque con l’idea di mutuare l’esperienza del National institute of agricultural botany (Niab), costituito nel 1919 come ente di beneficenza per promuovere il miglioramento dei raccolti nel Regno Unito. Per il Niab italiano il direttore dell’Istituto sperimentale per la cerealicoltura, Angelo Bianchi, trovò all’epoca una valida sponda da parte dell’editore e del direttore de L’Informatore Agrario, rispettivamente Alberto Rizzotti e Mario Mistruzzi.
Alle riunioni preliminari negli anni Settanta del secolo scorso parteciparono anche Basilio Borghi e Tommaso Maggiore. I due decani della ricerca hanno ricordato quell’avvio pioneristico della «Rete tenero», basato sul volontariato. L’intuizione fu di creare un network sul territorio della ricerca, di collegarlo all’informazione (la rivista L’Informatore Agrario in prima battuta) e alle prove sperimentali in campo; il tutto per la divulgazione alle aziende agricole.
Nel corso dell’incontro al Masaf il direttore di CREA-CI, Nicola Pecchioni, e gli altri ricercatori intervenuti hanno sottolineato l’impegno diretto a fornire agli agricoltori e agli attori della filiera informazioni puntuali sulle nuove iscrizioni al Registro nazionale delle varietà, grazie all’inestimabile patrimonio di conoscenze e dati disponibile.

Confronto con la filiera

Momento clou dell’incontro romano è stata la tavola rotonda con gli stakeholder della filiera.
«Il ruolo della ricerca resta di vitale importanza – ha sottolineato Gianmichele Passarini (vicepresidente di Cia Agricoltori Italiani). Una scienza che faccia il suo mestiere e sia terza tra le parti e propedeutica alla produzione; la terzietà è il punto di forza di un sistema. La produzione deve essere spinta dalla scienza; la programmazione invece rientra in altre logiche, in un percorso di filiera coesa (ad esempio la gestione degli stock) con un patto produttivo legato a un contratto di filiera».
Vincenzo Lenucci (Confagricoltura) ha sottolineato il forte calo delle grandi colture sia in termini di terreni investiti, sia di rese. «Sappiamo che non è possibile estendere le superfici oltre un certo limite, ma si possono aumentare le rese, intervenendo sulle varietà, sulla loro resistenza alle malattie, sulla qualità e in quest’ottica potrà essere fondamentale il ruolo della Rete».
«Dati produttivi, quantitativi, qualitativi, fitosanitari, se non ci fosse la Rete, chi li potrebbe fornire? – si è chiesto Enrico Fravili (Copagri). Servirebbe un’altra Rete. Insomma il suo ruolo non si discute. Come si potrebbe intervenire? Innanzitutto facendola conoscere ancora di più».
Piero Luigi Pianu (direttore di Italmopa, l’associazione dei mugnai) ha fatto presente che «le superfici calano per molte cause (motivi economici, scelte produttive), ma il settore va supportato. Va trovata una sinergia tra il mondo della ricerca in rete e la filiera per un ragionamento coordinato a favore del mondo agricolo».
Oriana Porfiri (Assosementi) e Massimo Bertone (Asseme) hanno ricordato che nei ragionamenti sulla produttività e sulla qualità non si può non partire dal seme e dall’impegno per quello di qualità certificata.
Edoardo Musarò (vicedirettore di Compag, l’associazione di commercianti mezzi tecnici e stoccatori) ha ribadito gli ambiti d’azione per la Rete, «ad esempio per i target che vengono da Bruxelles di riduzione dell’uso dei mezzi tecnici». «I dati forniti dalla Rete sono fondamentali sia per le aziende, sia per le scelte all’interno della filiera e nei raccordi tra i diversi interlocutori».
Nell’incontro è intervenuto pure il ricercatore Stephane Jezequel, che ha presentato l’attività dell’istituto francese di ricerca sui cereali Arvalis, che agisce in stretta sintonia con i produttori che lo finanziano («Far pagare gli agricoltori li rende protagonisti», è stato detto). Ovviamente il contesto produttivo francese è differente dal nostro, però il rovescio della medaglia è che non si può demandare la ricerca italiana al volontariato.
La Rete italiana, insomma, è un valido e collaudato strumento al servizio dell’agricoltura che va sostenuto e finanziato e i rappresentanti del Masaf (il capo della segreteria tecnica del ministro, Sergio Marchi, e il dirigente Carmine Genovese) hanno annunciato come sia in dirittura d’arrivo il finanziamento a «Rete2023» di 600.000 euro nel triennio.