Dagli ecoschemi alle nuove condizionalità, le novità della nuova Pac

Con l’assenso informale ma pressoché unanime dei ministri dell’agricoltura riuniti a Lussemburgo il 28 giugno, la riforma della Politica agricola comune 2023-2027 è realtà.

Non si tratta di una riforma rivoluzionaria negli strumenti di policy: i due principali cambiamenti sono i piani nazionali e una nuova «architettura verde». Per la prima volta, inoltre, la riforma riconosce un principio di condizionalità sociale a tutela dei lavoratori.

I Piani nazionali

I Piani nazionali sono la grande novità, introdotta già nella prima bozza di riforma nel 2018. Ogni Stato deve preparare un «Piano strategico nazionale» in cui spiega, a partire da un’analisi dei bisogni, come utilizzerà i fondi di Primo e Secondo pilastro per raggiungere 9 obiettivi comuni a livello UE: 3 economici, 3 sociali e 3 ambientali.

Ogni anno gli Stati dovranno presentare alla Commissione un rapporto sulle performance, basato su un set di indicatori comuni. La risposta di Bruxelles arriverà nel 2025 e nel 2027, con la possibilità di indicare agli Stati membri azioni correttive.

Verranno tuttavia mantenuti i controlli sulla conformità alle regole definite a livello UE (la procedura che oggi è la liquidazione dei conti). Nel Piano nazionale va indicata una definizione di agricoltore attivo (requisito minimo è svolgere attività agricola, anche part time).

Condizionalità

La nuova architettura verde comincia con la condizionalità dei pagamenti diretti. Due le buone pratiche agroambientali aggiuntive rispetto al passato, eredità di 2 misure del «greening» del 2014-2020:

  • la rotazione, che in deroga può diventare diversificazione delle colture,
  • l’obbligo di aree non produttive in azienda (4% dei terreni a seminativo).

Nel caso l’agricoltore decida di coprire l’area non produttiva con colture azoto-fissatrici o intercalari senza l’utilizzo di fitofarmaci (resta autorizzato invece l’uso di fertilizzanti), la superficie sale ad almeno il 7% di quella arabile, con un 3% dedicato ad aree non produttive.

Le 2 nuove condizionalità non si applicano ad aziende sotto i 10 ettari e a quelle che destinano almeno il 75% della propria superficie a foraggere o colture sommerse.

Fa poi la sua comparsa la condizionalità sociale, introdotta dal 2023 ma obbligatoria dal 2025, prevede che nel caso in cui nell’ambito dei normali controlli effettuati dalle Autorità nazionali venga accertata una violazione delle norme a tutela del lavoro nei campi, questa venga comunicata all’organismo pagatore, che ridurrà l’aiuto.

Ecoschemi

L’architettura verde si completa con gli ecoschemi: gli Stati dovranno riservare il 25% della dotazione nazionale dei pagamenti diretti a pratiche come l’agricoltura biologica, l’agro-ecologia, la difesa integrata, il risparmio idrico e il benessere animale.

Il sistema è volontario per gli agricoltori, ma obbligatorio per i Paesi che beneficeranno di un «periodo di apprendimento » per i primi 2 anni, in cui potranno reimpiegare i fondi inutilizzati.

Primo e Secondo pilastro

L’aiuto accoppiato per i settori in difficoltà può arrivare al 13% della dotazione nazionale per i pagamenti diretti, con un ulteriore 2% per le colture proteiche.

Il 3% del bilancio nazionale Pac (Primo e Secondo pilastro) dovrà essere destinato ai giovani agricoltori.

La convergenza interna prevede che tutti i diritti all’aiuto per ettaro debbano raggiungere almeno l’85% del valore medio dei titoli, su scala nazionale o regionale, entro il 2026. Nel 2014-2020 il meccanismo era mitigato da una clausola che «salvava» il 30% dell’aiuto, ora questa soglia non c’è più, quindi per aiuti «storici » molto più alti della media (come nel caso dell’Italia) il taglio potrebbe essere anche rilevante.

Per riequilibrare la distribuzione degli aiuti a favore delle aziende più piccole, la riforma introduce un pagamento redistributivo di almeno il 10% delle dotazioni nazionali per i pagamenti diretti. Nella bozza di riforma della Commissione europea la misura si finanziava tagliando gli aiuti oltre una certa somma (capping).

Secondo le conclusioni del negoziato, il 10% potrà essere raggiunto tramite una riduzione orizzontale per tutti i beneficiari, o con capping volontario e degressività (limitati al solo pagamento di base, con soglie fino a 100.000 euro dopo la deduzione dei costi del lavoro e del contoterzismo).

Le Regioni, nell’ipotesi iniziale escluse dai piani nazionali, manterranno invece il ruolo nella programmazione, gestione e monitoraggio.

Almeno il 35% dei fondi per lo sviluppo rurale (contando anche le aree svantaggiate) dovranno essere indirizzati a misure ad alto valore ambientale. Ci sarà la possibilità di spostare fondi fino al 25% dal Primo al Secondo pilastro e viceversa.

Agli strumenti previsti nello sviluppo rurale per la gestione del rischio si aggiunge la possibilità per gli Stati membri di riservare fino al 3% dei fondi del Primo pilastro per la creazione di un fondo mutualistico su scala nazionale, che porti obbligatoriamente tutti gli agricoltori a proteggersi dai rischi di perdita di produzione.

Gli interventi settoriali

Vengono mantenuti gli interventi settoriali per i settori ortofrutticolo e dell’apicoltura, per l’olio d’oliva, il luppolo e le olive da tavola.

Per l’ortofrutta l’assistenza finanziaria dell’Unione sarà limitata al 4,1% del valore della produzione commercializzata da una Op. Tale limite viene innalzato al 4,5% del valore della produzione commercializzata nel caso di Aop, e al 5% nel caso di Op e Aop transnazionali. Almeno il 2% dei fondi dovrà andare a ricerca e sviluppo e il 15% a interventi ambientali.

La quota standard del 50% di copertura delle spese sostenute sale al 60% per Op del biologico e fino all’80% quando le spese per interventi ambientali rappresentino una quota significativa dell’intero programma operativo.

Per il settore vitivinicolo l’assistenza finanziaria dall’Unione ammonterà a circa 1,1 miliardi di euro annui, di cui l’Italia sarà la prima beneficiaria con 323,88 milioni, seguita da Francia e Spagna.

Le attività promozionali nei Paesi terzi potranno essere supportate fino all’80%.

Il sistema di autorizzazioni all’impianto per le viti viene esteso fino al 2045. Viene autorizzata la de-alcolazione totale (titolo alcolometrico inferiore a 0,5%) per i vini da tavola. I vini dop e igp potranno essere de-alcolati solo parzialmente (titolo alcolometrico superiore a 0,5%). La de-alcolazione dovrà essere indicata chiaramente in etichetta.

In etichetta andranno indicate anche le calorie (con una E, come energia), mentre le informazioni sugli ingredienti saranno online. La gestione dell’offerta produttiva è estesa a tutte le dop e igp. Viene istituita una nuova riserva permanente di crisi, dal budget annuale di almeno 450 milioni di euro, che potranno essere aumentati grazie a entrate e margini di bilancio e, solo in ultima istanza, tramite il taglio dei pagamenti diretti.

I prossimi passi

L’Europarlamento voterà in plenaria i tre regolamenti in autunno, mentre la Commissione europea preparerà la legislazione attuativa e gli Stati scriveranno i piani strategici nazionali, da inviare a Bruxelles prima della fine dell’anno.

Il primo semestre del 2022 sarà dedicato alla discussione tra Commissione e capitali nazionali e all’approvazione dei piani. La nuova Pac entrerà in vigore nel 2023.

Un iter «originale»

Il principale elemento di novità della proposta di riforma del 2018 erano i piani nazionali, un trasferimento di poteri e responsabilità che passava da Bruxelles alle capitali UE. Nel 2019-2020 la Commissione ha lanciato il Green Deal, indicando che il cambio di priorità politica doveva riflettersi anche nella Pac. Invece di presentare una nuova proposta ha chiesto a Europarlamento e Consiglio UE di inserire alcuni correttivi alla proposta di base.

Data questa procedura irrituale, è ovvio che qualsiasi cenno a «ritirare la riforma» abbia fatto l’effetto di un cerino in una polveriera. Fatto sta che da quel momento il dibattito politico sulla Pac si è incentrato solo sulla parte ambientale, trascurando il nodo della governance. Che però restava. Tanto che il punto più controverso del negoziato è stata l’architettura verde nei piani nazionali, dove il tema della spinta alla sostenibilità e le necessità della nuova governance finivano per scontrarsi.

E mentre il dibattito sulle sfumature di verde della Pac diventava sempre più ideologico, gli Stati membri facevano ragionamenti molto concreti sulla capacità amministrativa di gestire certe misure, il che ha contribuito a una percezione di scollamento tra cittadini, agricoltori, politica nazionale e Politica agricola comune.

Angelo di Mambro