Tassa sul carbonio per i prodotti importati nell’UE

Bosco

La carbon tax alla frontiera (la tassa sulle emissioni di CO2) rischia di fare impennare i costi delle materie prime, spingendo in alto soprattutto i prezzi di prodotti energetici e fertilizzanti.

Ma oltre a uno scenario inflazionistico, si prefigura con l’imposizione di un prezzo del carbonio per i prodotti importati (il riferimento è al Cbam, il Carbon border adjustment mechanism inserito nel Pacchetto ambiente dalla Commissione europea) una nuova guerra commerciale a colpi di dazi e restrizioni non tariffarie.

C’è molto fermento attorno al tema della transizione ecologica, considerati anche gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici sulle attività produttive, agricoltura in primis, e sulle popolazioni.

Gli obiettivi ambiziosi dell’UE

Il dibattito si è animato all’indomani dell’annuncio da parte della Commissione UE del pacchetto di proposte – il cosiddetto Fit for 55 package – adottato il 14 luglio scorso nel quadro del Green Deal, il cui obiettivo è rendere le politiche dell’UE in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità idonee a ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Quello che non è chiaro è a quale prezzo e con quanti vincoli. E se ci saranno extra costi a carico dei produttori europei per l’impatto di norme ambientali molto più stringenti rispetto a quelle dei concorrenti.

Per Confagricoltura c’è il rischio concreto di un forte aumento dei costi di produzione a carico delle aziende agricole, che hanno già sperimentato quest’anno l’impatto del caro-commodity. La tassa sul carbonio, che agirebbe da moltiplicatore soprattutto nel comparto energetico, potrebbe addirittura raddoppiare il costo della bolletta, stima l’organizzazione agricola, che auspica un adeguato margine di flessibilità per salvaguardare la competitività dei prodotti agroalimentari italiani.

Ma vediamo meglio. Le proposte adottate da Bruxelles, oltre alla revisione di alcune normative già esistenti, introducono nuovi strumenti, tra cui il citato Cbam, il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera.
Di interesse agricolo anche la nuova Strategia forestale europea per il 2030 (3 miliardi di alberi da mettere a dimora entro la fine del decennio) e le proposte di modifiche al regolamento sull’uso e sul cambiamento d’uso del suolo. In questo caso la proposta «green» della Commissione introduce norme più stringenti rispetto a quelle che già obbligano gli Stati membri a garantire che le emissioni derivanti dall’uso o cambiamento d’uso del suolo e dalla silvicoltura siano compensate da un analogo assorbimento di CO2 dall’atmosfera.

Le novità sono due: il sequestro di 310 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030 e l’obiettivo, entro il 2035, della neutralità climatica nell’uso del suolo e nei settori agricolo e forestale, anche in relazione alle emissioni di altri gas serra provenienti dall’utilizzo di fertilizzanti e dall’allevamento.

Tra le proposte c’è anche quella di estendere a nuovi settori l’ambito di applicazione degli ETS, il sistema cioè dei diritti (a pagamento) di emissione di CO2, in particolare ai trasporti marittimi e su strada e agli edifici, ma la revisione, almeno nella proposta attuale, non include le attività di coltivazione e allevamento. Un combinato disposto, insomma, di norme e regolamenti ambientali che costituiscono l’ossatura della transizione ecologica, ma che lasciano aperta l’importante questione della reciprocità.

Per Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, senza regole uniformi e senza un’azione globale di contrasto al cambiamento climatico si configura un vantaggio concorrenziale a favore dei Paesi extra UE, dove vigono sistemi di produzione e normative meno rigorose di quelle europee.

Anche per il settore agroalimentare dovrà essere pertanto istituita una tassa sull’importazione di prodotti ottenuti con metodi più inquinanti e con una minore tutela delle risorse naturali.

Le funzioni del Cbam

Come accennato, nel disegno della Commissione europea sarà il Cbam a garantire se non altro una maggiore parità di trattamento tra i prodotti ottenuti nell’UE e quelli importati dai Paesi terzi.

Un meccanismo, quello di aggiustamento del carbonio alla frontiera, destinato anche a contrastare il rischio della rilocalizzazione delle emissioni, che si avrebbe con il trasferimento all’estero delle attività più emissive o con la sostituzione di prodotti UE con merci importate, fenomeno meglio noto come dumping ambientale. In una fase iniziale il Cbam si applicherà solo ai prodotti ad alto rischio di rilocalizzazione, in cui rientrano ferro e acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio e generazione di elettricità.

Quanto ai tempi, la proposta prevede la piena operatività nel 2026. Ma il timore è che l’acquisto di certificati da parte degli importatori (la carbon tax alla frontiera) su cui dovrà basarsi il Cbam possa innescare l’adozione di misure di ritorsione. Un rischio concreto che potrebbe materializzarsi ai danni dei Paesi UE. E che riproporrebbe uno scenario di «guerra dei dazi», contrario all’obiettivo generale della Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, che punta invece alla riduzione di qualsiasi barriera agli scambi internazionali.