Riparte l’emergenza, ma l’agroalimentare resta essenziale

L’Opinione di Felice Adinolfi

Felice AdinolfiOttobre doveva essere il mese della completa ripartenza, della cosiddetta Fase 3 e, invece, nelle ultime settimane il focus quotidiano è tornato a essere il Covid-19 e i timori di una seconda ondata si sono concretizzati. Questo rimette in discussione le poche certezze conquistate nei mesi del post lockdown e getta più di qualche ombra sul futuro e sui tempi della possibile ripresa economica. In particolare, le limitazioni che stanno caratterizzando la gestione di questa seconda ondata costituiranno non solo un freno all’economia nell’immediato, ma con ogni probabilità saranno destinate a rendere ancora più pesante il conto sanitario e anche quello economico, quando finalmente ci saremo lasciati questo incubo alle spalle.

Il settore primario ha da sempre convissuto con la concezione di rischio, ma il primo semestre del 2020 è stato caratterizzato da un’incertezza che ha messo a dura prova l’intero assetto della filiera alimentare nazionale, con punte di sofferenza enormi per quelle tipologie di prodotto i cui consumi sono stati inevitabilmente compromessi dalla pandemia.

Ma nonostante le difficoltà e la maggiore complessità del mercato, il sistema agroalimentare italiano ha reagito bene, anzi benissimo, non solo per la capacità di garantire la continuità degli approvvigionamenti, ma anche per la vitalità dimostrata sia nell’andare incontro alle nuove esigenze di prossimità emerse dal mercato del cibo, sia nel ricostruire velocemente le trame commerciali dei circuiti all’esportazione.

Così, ancora una volta il sistema agroalimentare italiano ha dato prova del suo carattere anticiclico, facendo segnare un +3,4% in valore delle esportazioni nei primi 6 mesi del 2020 rispetto al 2019 e, soprattutto, registrando un saldo attivo di oltre 1,3 miliardi della bilancia commerciale; un dato estremamente positivo, soprattutto considerando che gli altri settori tradizionali hanno sofferto in maniera molto più decisa il lockdown.

Ma questi dati, seppure incoraggianti all’interno di uno scenario molto complicato, non possono renderci fiduciosi. Essi sono la risultante di differenti traiettorie che caratterizzano le diverse filiere. Infatti, se da una parte le filiere con produzioni da stock hanno resistito e in qualche caso incrementato le loro vendite, come i derivati dai cereali (+13,8%) e la pasta, che segna un +25%, dall’altra a risentirne sono stati soprattutto i prodotti che trovano il loro naturale sbocco nel circuito Horeca.

Il vino è un esempio, al quale ne potrebbero essere affiancati diversi altri, che dà l’idea di quanto ampia sia attualmente l’incertezza degli operatori. E come se non bastasse, altre fonti di insicurezza hanno in questi mesi fatto capolino. Dalla questione, per ora sopita, dei dazi USA all’esito commerciale della Brexit, per arrivare agli impatti della recessione che seguirà gli effetti della pandemia.

Il sistema agroalimentare vale circa 15 punti del pil italiano e rappresenta, con circa 44 miliardi di euro nel 2019, intorno al 10% delle nostre esportazioni in valore. È inoltre un settore che ha una diffusione estremamente capillare sul territorio (abbiamo una densità di circa 1 impresa agricola ogni 50 abitanti) e la sua presenza risulta vitale in molte aree, anche periferiche, del Paese.

Sulla base di questi elementi andrebbe fatta una riflessione sul ruolo che avrà il settore nell’ambito della strategia nazionale per l’utilizzo delle risorse del programma «Next Generation».

Il potenziale economico e sociale che il settore agroalimentare esprime per il nostro Paese e la sua centralità nell’ambito degli obiettivi di transizione ecologica fissati dall’Europa dovrebbero far propendere il policy maker per un deciso sostegno sia alle infrastrutture di servizio al settore (approvvigionamento idrico, logistica, reti dati, per citare alcune rilevanti questioni) sia alle progettualità di filiera al fine di favorire un grande e sistemico intervento per il made in Italy agroalimentare, capace di muovere e unire motivazioni economiche, ambientali e sociali.

Felice Adinolfi
Università di Bologna

 

Opinione pubblicata su L’Informatore Agrario n. 36/2020