Cereali e semi oleosi: prospettive ai tempi del coronavirus

Che impatto avrà la crisi del coronavirus sul comparto dei cereali e dei semi oleosi? Non è semplice dare una risposta, ma possiamo azzardare qualche ipotesi di ordine generale.

I cereali e i semi oleosi sono ovviamente prodotti irrinunciabili per la sopravvivenza del genere umano, e per fortuna la loro produzione avviene a cielo aperto e con un basso input di manodopera. Non ci sono perciò motivi ragionevoli per temere una carestia, anche se come sempre l’esito dei prossimi raccolti è sempre legato ai fattori climatici.

In buona sostanza, la somma totale di tutti i cereali (compreso il riso) e semi oleosi vede produzioni e consumi mondiali in aumento, con una lieve diminuzione delle scorte di fine campagna dovuta alla maggior dinamica dei consumi soprattutto per usi zootecnici. Questi ultimi potrebbero essere però quelli destinati a soffrire maggiormente la crisi.

A ciò si aggiunge un possibile (a questo punto si potrebbe dire sicuro) calo degli utilizzi industriali: con il petrolio sotto i 30 dollari al barile la produzione di bioetanolo e di biogas può resistere solamente in presenza di abbondanti sovvenzioni pubbliche, ma è poco probabile che gli stati interessati possano mettere in campo risorse finanziarie sufficienti nel breve termine, viste le altre gravi priorità che dovranno affrontare.

Eppure, al momento, i mercati internazionali non sembrano sottostare alla logica ribassista, e hanno dato prova nelle ultime, difficili, settimane di una buona capacità reattiva.

Italia: settore della ristorazione in ginocchio

Veniamo ora alla situazione italiana. L’ultimo decreto della Presidenza del consiglio ha di fatto paralizzato il 70% della produzione industriale nazionale. Fanno eccezione le imprese del comparto agroalimentare, comprese quelle di prima e seconda trasformazione, che possono continuare a lavorare pur con le dovute restrizioni e cautele.

Questa è senz’altro una buona notizia tra le tante cattive, ma la situazione attuale pone le aziende di trasformazione di fronte a vari problemi, tra i quali i colli di bottiglia nella logistica e, speriamo avvenga il più tardi possibile, le possibili restrizioni del credito dovute ad un eventuale crisi finanziaria.

Inoltre va tenuto presente che il settore HoReCa (hotel, ristorazione, mense, food service) e il suo indotto artigianale sono completamente in ginocchio. I consumi si spostano da «fuori casa» a «in casa», e ciò significa per molte imprese rivedere i propri canali di vendita, gli imballi, la distribuzione ecc. Sappiamo bene che non sempre è possibile un simile riadattamento, da effettuarsi peraltro in tempo reale per evitare crisi di liquidità.

Non sappiamo però quanto perdurerà questa situazione e non possiamo nemmeno prevedere quante e quali imprese di trasformazione, alle quali ricordiamo che sono legate in gran parte anche le sorti dell’agricoltura italiana, ne usciranno indenni o comunque in condizioni di riprendersi rapidamente.

La storia dello scorso secolo, con i suoi conflitti e le conseguenti catastrofi umanitarie, ha però dimostrato chiaramente che dopo un periodo di «economia di guerra» è il comparto agroalimentare il primo a ripartire, trascinando con sé anche la crescita degli altri settori.

Può sembrare un’affermazione azzardata, anche perché l’agroalimentare incide solamente per il 3,9% sul Pil nazionale.
Visto però che possiamo ormai dare per certa una sua forte sua contrazione per l’anno 2020, il contributo del settore agricolo e agroalimentare sul prodotto nazionale è destinato a pesare senz’altro di più che negli ultimi anni.

 

Tratto dall’articolo in pubblicazione su L’Informatore Agrario n. 11-12/2020
Cereali e semi oleosi dopo la crisi in fase di recupero
di H. Lavorano
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