«Prosecco»: un peso o un valore aggiunto?

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Nelle scorse settimane la notizia che un’azienda trevigiana produttrice di Prosecco docg ha deciso di togliere dalle proprie etichette il nome «Prosecco» lasciando solo l’indicazione «Valdobbiadene docg» ha suscitato polemiche e, spesso, confusione.

Fermo restando che chiamare uno spumante Valdobbiadene docg o Conegliano docg è permesso, perché il legislatore ha contemplato da anni questa possibilità rendendola del tutto normale, oltre che normata, si possono comunque fare alcune considerazioni.

Sotto il profilo del marketing, avere un medesimo nome su due prodotti diversi per storia e costi di produzione favorisce certamente il prodotto che è meno costoso realizzare. Questo perché una produzione più economica consente una redditività a parità di prezzi molto maggiore rispetto ai competitori delle aree dove i produrre è più oneroso.

Non vi è dubbio, tuttavia, che se la differenza sostanziale tra i due prodotti è chiara e nota, il nome e la presentazione simili o addirittura identici non sono certo un freno per le aree dove le produzioni sono di nicchia e prestigiose.

Sotto il profilo politico, non si comprende perché la scelta aziendale di usare la docg preferendo il semplice riferimento geografico Valdobbiadene o Conegliano dovrebbe accompagnarsi all’abbandono del Sistema Prosecco.

Oggi, comunque, oltre l’80% delle aziende che rivendicano la docg usa anche il segno «Prosecco» nel presentare i propri vini e lo fanno perché ritengono che lo stesso non li penalizzi e, anzi, costituisca un valido strumento per entrare su mercati in cui questa parola, ormai, è sinonimo di vino spumante.

 

Tratto dall’articolo pubblicato su L’Informatore Agrario n. 35/2019
Il nome «Prosecco» è un peso o un valore aggiunto?
di M. Fino
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