L’origine in etichetta non è dietro l’angolo

supermercato

A fine gennaio la Camera ha definitivamente convertito in legge il decreto semplificazioni che contiene diverse norme che riguardano l’agricoltura, tra le quali quelle riguardanti l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti.

Sul tema l’informazione è stata a dir poco trionfalistica. Citiamo un titolo per tutti, quello dell’Ansa: «Scatta l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per tutti gli alimenti» da quale si capiva che all’indomani dell’approvazione della legge non ci sarebbero più stati in commercio cibi anonimi.
Le cose non stanno esattamente così.

Il testo approvato prevede tutta una serie di adempimenti che, sicuramente, richiederanno tempi piuttosto lunghi e inoltre non è detto portino all’obbligo per tutti gli alimenti.
La legge dice che «Con decreto del Mipaaf, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative nei settori della produzione e della trasformazione agroalimentare e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari, previo espletamento della procedura di notifica (all’UE, ndr), sono definiti i casi in cui l’indicazione del luogo di provenienza è obbligatoria».

Poi il Mipaaft, in collaborazione con l’Ismea, assicurerà «la realizzazione di appositi studi diretti a individuare la presenza di un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti e la relativa origine o provenienza, nonché per valutare in quale misura sia percepita come significativa l’indicazione relativa al luogo di provenienza e quando la sua omissione sia riconosciuta ingannevole».

C’è poi da tenere in considerazione che il 1° aprile 2020 entrerà in vigore il regolamento europeo sull’indicazione d’origine che, pur essendo molto più «blando», porterà comunque ulteriori problemi legislativi.