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La rivoluzione dello zucchero italiano |
Scelte difficili per la prima applicazione della riforma
Il piano di ristrutturazione industriale ridisegnerà profondamente la
geografia produttiva del settore bieticolo-saccarifero. L’annunciata
riduzione lineare della quota zucchero europeo per la campagna 2006-07
complica ulteriormente le decisioni da prendere
Sono giorni decisivi questi per il futuro della filiera
bieticolo-saccarifera italiana. Si intrecciano una serie di eventi che
essenzialmente ruotano attorno alla prima applicazione della riforma
dell’organizzazione comune di mercato e alla gestione delle eccedenze
produttive derivanti dal raccolto 2005 che espongono il settore a una
situazione assai complessa e critica.
Tutto può teoricamente accadere. Se va bene si riesce a salvaguardare circa
il 50% della produzione storica nazionale fino al 2010, per poi affidarsi
alle capacità imprenditoriali di bieticoltori e industriali di costruire una
filiera competitiva, in grado di confrontarsi con i concorrenti degli altri
Paesi membri dell’Unione Europea e di raggiungere la sostenibilità economica
di lungo periodo, con un prezzo di riferimento pari rispettivamente a 404
euro/t per lo zucchero e di 26,30 euro/t per la materia prima.
Ove, viceversa, la situazione dovesse sfuggire di mano, allora non ci
sarebbe scampo: si verificherebbe la fuga dal settore, con i gruppi
industriali che si accaparrerebbero i sostanziosi indennizzi comunitari di
abbandono dell’attività (730 euro/t di quota zucchero disponibile, dove la
cessazione intervenga nel 2006 o nel 2007) e gli agricoltori che
ripiegherebbero verso la dotazione finanziaria messa a disposizione sotto
forma di pagamenti disaccoppiati: 136 milioni di euro a regime per l’Italia,
da ripartire tra i produttori di bietole attivi nel periodo storico ancora
da individuare, scegliendo uno o più annate comprese tra il 2000-2001 e il
2005-2006.
Una partita difficile
Le decisioni saranno formalizzate nell’ambito del piano di ristrutturazione
industriale sul quale stanno lavorando gli operatori e le istituzioni che
dovrebbe portare alla restituzione all’Unione Europea del 50% almeno della
quota zucchero assegnata all’Italia (15,7 milioni di quintali), alla
allocazione della quota residua (7,8 milioni di quintali circa) a favore
delle imprese saccarifere e degli stabilimenti che rimarranno in attività.
Peraltro, è opportuno evidenziare che la scelta di chiudere lo stabilimento
o continuare a produrre spetta all’impresa saccarifera e può essere
condizionata solo in maniera piuttosto limitata dalle istituzioni pubbliche
e dagli altri portatori di interessi (agricoltori, lavoratori, ecc.).
Insomma, si sta giocando una difficile partita a scacchi, dove oltre a
contare le singole mosse è importante la visione strategica dei protagonisti
e la capacità di ciascun giocatore di osservare con attenzione quello che
avviene nel campo degli antagonisti e dei partner. In questo quadro confuso,
i bieticoltori assistono preoccupati, in attesa di prendere decisioni in
ordine alle imminenti semine e di conoscere se nei prossimi anni potranno o
meno contare su una coltura che da tempo gioca un ruolo fondamentale
nell’ordinamento produttivo di molte aziende agricole.
Quali sono le unità produttive e i bacini bieticoli candidati ad avere un
futuro alla luce della ocm riformata? Cosa accadrà alla produzione nazionale
nel 2006 e negli anni futuri? Come si conciliano le scelte di
ridimensionamento, ristrutturazione e ammodernamento della filiera con i
nodi della gestione delle eccedenze 2005 e dell’annunciato taglio lineare
provvisorio della quota zucchero europea per la campagna 2006-2007? (Vedi
anche quanto riportato a pagina 24).
Ad oggi la risposta non c’è, ma per diversi bacini di produzione zucchero
italiani il destino è già segnato. Gli stabilimenti della Sardegna, della
Puglia, della Toscana, dell’Abruzzo sono candidati alla chiusura e alla
successiva riconversione o smantellamento, a seconda dei casi. Nelle altre
regioni ci sarà la chiusura di alcuni impianti. Nelle Marche oggi operano
due stabilimenti e ne rimarrà, pare, uno solo (quello di Iesi in provincia
di Ancona). In Emilia-Romagna si passerà da 9 a massimo 3 stabilimenti. In
Veneto da due si arriverà a uno solo. Discorso a parte deve essere fatto per
il bacino produttivo del Nord-ovest che ora serve l’impianto di Casei Gerola
in provincia di Pavia e per l’area del Sud Italia, dove il futuro della
filiera è a forte rischio.
L’impianto pavese sembrava candidato alla disattivazione, ma si sono levate
forti resistenze da parte dei produttori dell’area lombardo-piemontese e
delle istituzioni locali e regionali. A gran voce si chiede la sopravvivenza
di un impianto che raccoglie la materia prima in una vasta area a indiscussa
vocazione bieticola, con aziende agricole di medie e grandi dimensioni e con
una rete di infrastrutture tale da assicurare il contenimento dei costi
logistici.
Quanto allo zuccherificio del Molise, sarebbe l’ultimo bastione della
bieticoltura nel Meridione d’Italia nel cui capitale sociale compaiono due
regioni con forti interessi agricoli: il Molise a la Puglia.
Tre possibilità
Tra qualche settimana ci saranno le decisioni finali che, al momento,
oscillano tra tre opzioni:
- una fase transitoria per tutto il 2006, per risolvere anche i problemi
delle eccedenze 2005 e del taglio lineare comunitario, con la chiusura
definitiva degli stabilimenti per i quali non c’è alcuna speranza e il
mantenimento temporaneo di quelli in bilico, in vista di una cessazione
produttiva rimandata al 2007;
- il ridimensionamento immediato dell’attività zuccheriera nazionale al di
sotto della soglia del 50% rispetto al trend storico e l’accesso fin dal
2006 degli aiuti di adattamento comunitari e nazionali;
- infine, c’è la soluzione più drastica, quella della rinuncia definitiva ad
avere una filiera zucchero di peso nello scenario europeo post riforma.
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