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L'Informatore Agrario
Sommario rivista Approfondimento
4
 27 Gen. - 2 Feb.

  2006
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Attualità POLITICA

La rivoluzione dello zucchero italiano

Scelte difficili per la prima applicazione della riforma

Il piano di ristrutturazione industriale ridisegnerà profondamente la geografia produttiva del settore bieticolo-saccarifero. L’annunciata riduzione lineare della quota zucchero europeo per la campagna 2006-07 complica ulteriormente le decisioni da prendere

Sono giorni decisivi questi per il futuro della filiera bieticolo-saccarifera italiana. Si intrecciano una serie di eventi che essenzialmente ruotano attorno alla prima applicazione della riforma dell’organizzazione comune di mercato e alla gestione delle eccedenze produttive derivanti dal raccolto 2005 che espongono il settore a una situazione assai complessa e critica.
Tutto può teoricamente accadere. Se va bene si riesce a salvaguardare circa il 50% della produzione storica nazionale fino al 2010, per poi affidarsi alle capacità imprenditoriali di bieticoltori e industriali di costruire una filiera competitiva, in grado di confrontarsi con i concorrenti degli altri Paesi membri dell’Unione Europea e di raggiungere la sostenibilità economica di lungo periodo, con un prezzo di riferimento pari rispettivamente a 404 euro/t per lo zucchero e di 26,30 euro/t per la materia prima.
Ove, viceversa, la situazione dovesse sfuggire di mano, allora non ci sarebbe scampo: si verificherebbe la fuga dal settore, con i gruppi industriali che si accaparrerebbero i sostanziosi indennizzi comunitari di abbandono dell’attività (730 euro/t di quota zucchero disponibile, dove la cessazione intervenga nel 2006 o nel 2007) e gli agricoltori che ripiegherebbero verso la dotazione finanziaria messa a disposizione sotto forma di pagamenti disaccoppiati: 136 milioni di euro a regime per l’Italia, da ripartire tra i produttori di bietole attivi nel periodo storico ancora da individuare, scegliendo uno o più annate comprese tra il 2000-2001 e il 2005-2006.
Una partita difficile

Le decisioni saranno formalizzate nell’ambito del piano di ristrutturazione industriale sul quale stanno lavorando gli operatori e le istituzioni che dovrebbe portare alla restituzione all’Unione Europea del 50% almeno della quota zucchero assegnata all’Italia (15,7 milioni di quintali), alla allocazione della quota residua (7,8 milioni di quintali circa) a favore delle imprese saccarifere e degli stabilimenti che rimarranno in attività.
Peraltro, è opportuno evidenziare che la scelta di chiudere lo stabilimento o continuare a produrre spetta all’impresa saccarifera e può essere condizionata solo in maniera piuttosto limitata dalle istituzioni pubbliche e dagli altri portatori di interessi (agricoltori, lavoratori, ecc.).
Insomma, si sta giocando una difficile partita a scacchi, dove oltre a contare le singole mosse è importante la visione strategica dei protagonisti e la capacità di ciascun giocatore di osservare con attenzione quello che avviene nel campo degli antagonisti e dei partner. In questo quadro confuso, i bieticoltori assistono preoccupati, in attesa di prendere decisioni in ordine alle imminenti semine e di conoscere se nei prossimi anni potranno o meno contare su una coltura che da tempo gioca un ruolo fondamentale nell’ordinamento produttivo di molte aziende agricole.
Quali sono le unità produttive e i bacini bieticoli candidati ad avere un futuro alla luce della ocm riformata? Cosa accadrà alla produzione nazionale nel 2006 e negli anni futuri? Come si conciliano le scelte di ridimensionamento, ristrutturazione e ammodernamento della filiera con i nodi della gestione delle eccedenze 2005 e dell’annunciato taglio lineare provvisorio della quota zucchero europea per la campagna 2006-2007? (Vedi anche quanto riportato a pagina 24).
Ad oggi la risposta non c’è, ma per diversi bacini di produzione zucchero italiani il destino è già segnato. Gli stabilimenti della Sardegna, della Puglia, della Toscana, dell’Abruzzo sono candidati alla chiusura e alla successiva riconversione o smantellamento, a seconda dei casi. Nelle altre regioni ci sarà la chiusura di alcuni impianti. Nelle Marche oggi operano due stabilimenti e ne rimarrà, pare, uno solo (quello di Iesi in provincia di Ancona). In Emilia-Romagna si passerà da 9 a massimo 3 stabilimenti. In Veneto da due si arriverà a uno solo. Discorso a parte deve essere fatto per il bacino produttivo del Nord-ovest che ora serve l’impianto di Casei Gerola in provincia di Pavia e per l’area del Sud Italia, dove il futuro della filiera è a forte rischio.
L’impianto pavese sembrava candidato alla disattivazione, ma si sono levate forti resistenze da parte dei produttori dell’area lombardo-piemontese e delle istituzioni locali e regionali. A gran voce si chiede la sopravvivenza di un impianto che raccoglie la materia prima in una vasta area a indiscussa vocazione bieticola, con aziende agricole di medie e grandi dimensioni e con una rete di infrastrutture tale da assicurare il contenimento dei costi logistici.
Quanto allo zuccherificio del Molise, sarebbe l’ultimo bastione della bieticoltura nel Meridione d’Italia nel cui capitale sociale compaiono due regioni con forti interessi agricoli: il Molise a la Puglia.
Tre possibilità
Tra qualche settimana ci saranno le decisioni finali che, al momento, oscillano tra tre opzioni:
- una fase transitoria per tutto il 2006, per risolvere anche i problemi delle eccedenze 2005 e del taglio lineare comunitario, con la chiusura definitiva degli stabilimenti per i quali non c’è alcuna speranza e il mantenimento temporaneo di quelli in bilico, in vista di una cessazione produttiva rimandata al 2007;
- il ridimensionamento immediato dell’attività zuccheriera nazionale al di sotto della soglia del 50% rispetto al trend storico e l’accesso fin dal 2006 degli aiuti di adattamento comunitari e nazionali;
- infine, c’è la soluzione più drastica, quella della rinuncia definitiva ad avere una filiera zucchero di peso nello scenario europeo post riforma.

Sommario rivista C.Di.


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