POLITICA
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Brunello di Montalcino senza pace |
Botta e risposta tra consorzio e ministero.
Il Consorzio di tutela annuncia l’adozione di nuovi metodi di analisi, ma il
Mipaaf smentisce di esserne a conoscenza.
A mali estremi, estremi rimedi, dice un noto proverbio. È quello che hanno
pensato i produttori del Consorzio di tutela del Brunello di Montalcino che,
a circa due mesi dallo scandalo che ha visto coinvolta la più prestigiosa
denominazione di origine garantita italiana (alcuni produttori non avrebbero
rispettato l’obbligo dell’utilizzo del 100% di varietà Sangiovese come
previsto dal disciplinare di produzione), hanno approvato il via libera a
una svolta definita «epocale» nel panorama del settore vitivinicolo
nazionale.
È stata, infatti, decisa l’introduzione di tecnologie e metodi analitici in
grado di garantire l’utilizzo del 100% della varietà Sangiovese richiesta
dal disciplinare. Il Consorzio di tutela ha dichiarato di aver preso questa
decisione di concerto con il Ministero delle politiche agricole.
Zaia smentisce
Ma quest’ultima affermazione è stata subito smentita dal ministro Luca Zaia
che ha negato categoricamente «che il Ministero sia stato coinvolto o che
esista qualsivoglia accordo d’intesa sul progetto annunciato dal Consorzio
di tutela sui giornali». Il ministro ha aggiunto di essere impegnato in
prima persona per elaborare positivamente un proprio progetto al fine di
restituire al Brunello credibilità internazionale e a consentire a uno dei
nostri prodotti di eccellenza di ritornare sui mercati strategici, a partire
da quello statunitense. E a quest’ultimo proposito a margine del vertice Fao
il ministro dell’agricoltura Luca Zaia ha incontrato il ministro
dell’agricoltura Usa, Ed Schafer, allo scopo di scongiurare l’embargo
annunciato nei giorni scorsi.
Un’altra classica storia «all’italiana», potremmo affermare, anche se il
presidente del Consorzio Francesco Marone Conzano ha cercato successivamente
di minimizzare l’accaduto.
Su questa vicenda abbiamo chiesto ad Attilio Scienza, uno dei maggiori
esperti in viticoltura a livello internazionale, se oggi esistono metodi
analitici in grado di garantire la corretta applicazione dei disciplinari di
produzione per quanto concerne l’utilizzo dei vitigni.
«Innanzitutto devo sottolineare – ci ha spiegato Scienza – come, dopo il
cosiddetto scandalo del Brunello, in collaborazione con l’Istituto di San
Michele all’Adige, la Facoltà di agraria di Milano e l’Unione italiana vini
ci siamo subito attivati per individuare e definire un modello di analisi
adeguato per garantire certezze su questo tipo di indagini che non sono
certo semplici. Attualmente, infatti, la maggioranza dei modelli di analisi
forniscono garanzie solo se si è in presenza di vini giovani. Molto più
complessa è l’analisi su vini invecchiati, come il Brunello di Montalcino.
Per questa ragione avevamo proposto la costituzione di un comitato
scientifico che fosse propositore e garante, in accordo con il Ministero
delle politiche agricole, di queste metodologie».
E come è finita?
Se devo essere onesto allo stato attuale non so cosa sia successo. Di certo
io non sono stato più coinvolto. Ma il problema principale non è questo.
E qual è allora?
La «grana» Montalcino ha aperto un grande problema per le nostre doc.
Inutile negare che è da tempo che si discute sulla difficoltà di applicare
correttamente alcuni disciplinari. Per questo, dal mio punto di vista, è
pericoloso intraprendere vie unilaterali, ma bisogna realmente definire un
modello affidabile e riconosciuto per tutte le denominazioni italiane. Per
questa ragione ritengo che la reazione del Mipaaf sia stata dettata dalla
necessità di garantire un modello applicabile seriamente per tutto il
sistema vitivinicolo nazionale. Quindi ritengo che siano scelte che debbano
trovare la massima condivisione e devono poggiare su indagini realmente
attendibili, altrimenti rischiamo veramente di mettere a rischio la
credibilità di tutti i grandi vini italiani.
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